MEDEA
La riscrittura della tragedia classica
nella drammaturgia calabrese contemporanea


Dalla tesi di laurea in Filosofie e scienze della comunicazione e della conoscenza di Fabiola Cosenza
R
elatore: Prof.ssa Vincenza Costantino
Anno Accademico 2009/2010
Facoltà Lettere e Filosofia - Università degli Studi della Calabria.



Indice
Introduzione p. 4
Abstract p. 5

1.       Biografie p. 6
1.1.    Massimo Costabile: nascita e sviluppo del Centro R.A.T. p. 6
1.2.    Nascita de Lalineasottile p. 9
1.3.    Enzo Costabile p. 11

2.      Medea: variazioni del mito p. 14
2.1.    Scheda di analisi p. 14
2.2.    La fabula in Euripide p. 15
2.2.1. Il personaggio Medea p. 16
2.2.2. Personaggi monolitici: Creonte e Giasone p. 20
2.2.3. Il coro p. 21
2.2.4. Le tre didascalie p. 22
2.2.5. Le tematiche principali p. 22
2.3.    La fabula in Enzo Costabile p. 23
2.3.1. Medea, vera e unica protagonista p. 23
2.3.2. Personaggi ausiliari: Creonte e Giasone p. 27
2.3.3. L’alter ego di Medea: il coro p. 29
2.3.4. Le didascalie di Massimo Costabile p. 30
2.3.5. Le tematiche di rilievo trattate p. 30
2.4.   Perché rappresentare Medea? p. 31
2.4.1. La scelta dell’interprete di Medea p. 33
2.5.   La messa in scena di Massimo Costabile p. 33

3.     La morte di Glauce: analisi e confronto p. 39
3.1.   Racconto di un servo p. 39
3.2.  Vanità e amore come causa di morte p. 42
3.3.  Racconto di un fantasma p. 44
Conclusioni p. 45

Appendice – Locandine – Foto – Copione Medea di Enzo Costabile p. 48
Bibliografia p. 76

 

 

Introduzione
L’elaborato finale esamina il lavoro compiuto dal regista teatrale calabrese, Massimo Costabile, insieme al drammaturgo Enzo Costabile, per la riscrittura e la messa in scena della tragedia di Euripide, Medea. Tale tipo di analisi si propone di mettere in luce la modernità del personaggio Medea e di trovare nuove chiavi di lettura della tragedia euripidea nel lavoro del 1999 nato dalla collaborazione tra Massimo ed Enzo Costabile.
Il seguente lavoro mostra nel primo capitolo una visione di come la vita artistica di Massimo Costabile abbia influito nello sviluppo dell’arte teatrale sul territorio cosentino dagli anni 70 del Novecento fino ad oggi, e come preziosa sia stata la presenza di uno scrittore come Enzo Costabile.
Nel secondo capitolo verrà svolta una analisi semiologica del testo drammatico di Euripide, dal quale Massimo Costabile ha tratto ispirazione per la messa in scena, sulla base della riscrittura del testo drammatico da parte di Enzo. Il loro è stato un lavoro di perfetta sinergia e, dal momento che non sono state riscontrate alcune discrepanze tra il testo scritto e quello messo in scena, effettuerò una analisi semiologica sul testo drammatico di Enzo parallelamente alla messa in scena di Massimo.
Il terzo capitolo si concentra sull’ analisi profonda di una scena della tragedia: la morte di Glauce. La scena in questione sarà esaminata mettendo a confronto il testo drammatico di Euripide, il testo drammatico di Enzo Costabile e il testo scenico di Massimo Costabile, evidenziando i punti in comune e le eventuali differenze individuabili nelle tre versioni.
Gran parte del materiale utilizzato per costruire il primo capitolo è stato raccolto grazie alle interviste e agli incontri avuti con Massimo Costabile. Elementi fondamentali per la stesura del secondo e terzo capitolo sono stati i testi drammatici Medea di Euripide e di Enzo Costabile, nonché il video della messa in scena di Massimo Costabile, su cui ho poggiato la mia analisi critica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Massimo Costabile: nascita e sviluppo del Centro R.A.T.

Iscritto alla facoltà di Filosofia nell’anno accademico 1971/72, Massimo
Costabile (Cosenza, 22 giugno 1952) frequenta per due anni l’Università di Roma per poi decidere di lasciarla.
In questi anni sul territorio cosentino non esiste ancora una compagnia professionista ma importante sembra essere la produzione del Gruppo 80 con le sue interessanti produzioni. La scintilla che fa accendere l’interesse in Massimo nei confronti del mondo del teatro è la conoscenza di Grotovskij (1933–1999) e del suo metodo, grazie a suo fratello Nello.
Ciò che affascina il futuro regista è un lavoro indirizzato all’espressione del corpo e a quella vocale. L’interesse di Massimo si basa molto più sulla ricerca che sull’allestimento di uno spettacolo, ciò a cui dà maggiore importanza è il riuscire ad esprimersi e comunicare attraverso il corpo. In questo modo ha inizio il suo approccio con il mondo teatrale anche se non è ancora interessato né a preparare spettacoli né tanto meno a fare l’attore.
Questa passione cresce nel giovane Massimo tanto che nel 1974 diventa Socio fondatore e presidente della “Compagnia Workshop – Teatro Laboratorio”. La sede è in Corso Telesio a Cosenza. Insieme ad altri tre soci Massimo lavora in questo ambiente per due anni facendo esperienza solo di ricerca e di laboratorio. Chiuso in una stanza di dodici metri per quattro insieme ai suoi colleghi, ci si interroga sul valore comunicativo del fare teatro proprio grazie a questi laboratori. Dopo due anni di laboratorio vengono presentati dei lavori teatrali considerati come delle prove a porte aperte e vengono eseguiti nella sede della Compagnia Workshop.
È il 1976 quando nasce il Centro R.A.T. che è l’unione di due compagnie: Compagnia Workshop e Collettivo di Sperimentazione, di cui facevano parte, tra gli altri, anche Antonello Antonante, Francesco Gigliotti e Marcello Walter Bruno. Ciò che spinge i due gruppi a mettersi insieme è l’esigenza di creare una struttura più forte, così da consentire ai giovani che volevano dedicarsi al teatro di non emigrare necessariamente per poter lavorare. Questo è un momento decisivo non solo per le singole compagnie ma per l’intera realtà culturale cosentina e calabrese: si forma la prima compagnia di professionisti in Calabria. Fino ad allora chi voleva fare del teatro a livello professionale doveva lasciare la Calabria e spostarsi al Nord d’Italia, con la creazione del Centro R.A.T. i soci valutano prima di tutto la possibilità di poter vivere il teatro come un lavoro: l’ipotesi prende piede perché è accompagnata dalla struttura del professionismo che loro stessi hanno deciso di darsi. Per poter dunque realizzare tale possibilità bisogna creare spettacoli che possano essere venduti facilmente. Il Centro R.A.T si trova a questo punto un doppio lavoro da svolgere: da una parte continuare la ricerca e la sperimentazione teatrale e dall’altra considerare lo spettacolo alla stregua di una merce facile da vendere. Lo studio rimane alla base del lavoro svolto dal Centro R.A.T. e l’acquisto di una tenda da circo conduce ad una svolta di non poco conto.
Marius, esperto nell’arte circense, è proprietario della tenda da circo e insieme alla sua famiglia fa spettacoli che i soci del Centro R.A.T. seguono con interesse perché affini al loro tipo di ricerca. Dell’arte circense Massimo e i suoi colleghi sono interessati alla preparazione fisica che contempla esercizi di equilibrio e acrobatici: allenarsi allo stesso modo di come fa un giocoliere significa allenare il corpo ad avere i riflessi pronti. Per il Centro R.A.T. gli esercizi di allenamento diventano fondamentali per il discorso teatrale e la presenza della famiglia circense, nella città cosentina, sembra essere una buona possibilità di confronto. La tenda da circo viene acquistata dal Centro R.A.T. nel 1976 e fino al 1979 viene portata in diverse zone di Cosenza: piazza Loreto, piazza Europa, via degli Stadi e via Panebianco dove un temporale la distrugge.
Vivere in una tenda condiziona notevolmente il lavoro del regista e direttore artistico della compagnia Nello Costabile, tanto da dover creare degli allestimenti ad hoc in funzione dello spazio disponibile. I riferimenti in questo periodo sono l’arte circense e la commedia dell’arte e si dà vita ai primi spettacoli tra i quali spicca per importanza Giangurgolo in commedia (1978), in cui lo stesso Giangurgolo è interpretato da Massimo Costabile. Lo spettacolo, che per due anni viene rappresentato in vari teatri italiani, modifica il rapporto di Massimo con altri stili teatrali permettendogli una maggiore apertura verso nuove forme.
Fare solo l’attore non è più bastevole e appagante per Massimo tanto che nel 1980 sente il bisogno di fare qualcosa in più. La voglia di esprimersi e di creare, conduce Massimo ad intraprendere il lavoro come regista senza però rinunciare all’attività di attore. Il primo esperimento in questa nuova direzione si materializza in Fantasie di Clowns (1981), sebbene dal 1984 si può propriamente iniziare a parlare di lavori di regia firmati Massimo Costabile.
Nel 1981 intanto il Centro R.A.T. si dota di una nuova sede, stabile, che corrisponde a quella che è ad oggi il Teatro dell’Acquario in via Galluppi a Cosenza.
Nel 1984 si assiste ad una scissione del Centro R.A.T. . Resta un gruppo che decide di non aprirsi subito a nuove situazioni ma che al contrario, vuole dedicarsi allo studio. Si lavora sul teatro dell’assurdo, si ricercano e sperimentano nuove idee, si pensa a ciò che faceva Bob Wilson (1941), Peter Brook (1925), uno studio non solo teorico. Questo studio-sperimentazione dura due anni e dal Centro R.A.T. escono le due produzioni La metamorfosi (1984) da Kafka e L’ultima chance (1985).
Lo spettacolo che segna una svolta importante nella produzione di Massimo è Angeli in delirio (1986). Direttori artistici del Centro R.A.T. in questo periodo sono Antonello Antonante (Cosenza, 30 settembre 1947) e Massimo Costabile. Il loro progetto si basa sostanzialmente su tre obiettivi fondamentali: produzione, formazione e programmazione. La produzione si occupa della costruzione dello spettacolo; la formazione organizza i corsi che si fanno nelle scuole, corsi di formazione per attori, scenografi e tecnici che poi diventeranno corsi regionali e che in seguito saranno di competenza del Cifa; la programmazione prevede la preparazione della stagione teatrale per il teatro dell’Acquario. La produzione è sicuramente il punto fondamentale: il Centro R.A.T. è nato prima di tutto come struttura produttiva, col tempo però questo aspetto è venuto sempre più a perdere di forza rispetto alla gestione del teatro. Produzione, formazione e programmazione sono nati per vivere in una sorta di struttura circolare in cui ogni elemento è strettamente connesso e dipendente dall’altro. Per Massimo il lavoro di produzione assume importanza se è legato al discorso della formazione così come l’intero universo teatrale deve necessariamente comporsi di questi tre elementi. All’interno del Centro R.A.T. Massimo si accorge però che, col passare del tempo, questa struttura tende sempre più a deteriorarsi. Il lavoro artistico ormai dura un mese e mezzo, il resto sembra essere più un qualcosa legato semplicemente alla gestione di servizi: la programmazione è ripetitiva, sempre uguale e di conseguenza il pubblico non risponde più come aveva fatto fino ad allora. Si vive per lo più di rendita e le sterzate che Massimo prova a dare all’interno del gruppo sembrano non avere alcun effetto.
È il 2006, Massimo ha cinquantaquattro anni e decide di lasciare il Centro R.A.T. proprio nel trentesimo anniversario della sua fondazione. La scelta è difficile e dolorosa per colui che è stato tra i fondatori e anche direttore artistico. Avventurarsi su una strada nuova è un passo importante, una scelta che bisogna fare necessariamente per riempire di senso un lavoro come regista più libero .


 

Nascita de Lalineasottile

Nell’agosto 2006 Massimo lascia il Centro R.A.T., la sua compagna e attrice Antonella Carbone (Cosenza, 4 aprile 1958), farà la stessa cosa sei mesi dopo e insieme costituiranno la direzione artistica de “Lalineasottile”. Dietro Massimo si sposta un nucleo di persone composto da attori che avevano già lavorato con lui e che si lasciano coinvolgere dal suo nuovo progetto allestendo nell’arco di un anno tre diversi spettacoli.
La Compagnia Teatrale Lalineasottile nasce nel gennaio 2007 e vuole essere il proseguo del progetto artistico condiviso per anni all’interno del Centro R.A.T. . Già nel 2002 all’interno del Centro R.A.T. vengono create due compagnie teatrali perché si vogliono differenziare le linee artistiche di regia che convivono al suo interno e, per meglio delineare le diverse poetiche dei registi Antonello Antonante e Massimo Costabile. Ecco che affiora Lalineasottile. Massimo ha da sempre cercato di lavorare sull’essenzialità, di camminare su una linea immaginaria, scarna, sottile, liscia, che affronta le cose in maniera essenziale. Su questa linea è necessario di rimanere in equilibrio, senza mai esagerare, è seguire una “linea sottile”, è starci sopra senza cadere.
Il progetto produttivo della Compagnia Teatrale Lalineasottile si divide in tre filoni: la tragedia, il classici e il teatro ragazzi . Secondo la prospettiva di Massimo Costabile è importante promuovere il teatro e farlo conoscere soprattutto ai ragazzi, dal momento che però non sono i ragazzi ad andare a teatro è necessario che sia il teatro ad entrare nelle scuole. Il teatro ragazzi è un modo nuovo e diverso di proporre lo spettacolo per le scuole, offre alla compagnia la possibilità di fare repliche e, di conseguenza, di fare un minimo di incasso. È importante fare proposte che possano stimolare, che lo spettacolo non sia finalizzato a se stesso ma che possa offrire uno strumento di riflessione su tematiche importanti di attualità. A questo filone appartengono rappresentazioni teatrali come Terezin. Le Farfalle non volano qui (2007), Robinson Crusoe (2006) e Hansel e Gretel (2009).
Del filone dei classici fanno parte: Atti Unici di E. De Filippo e di L. Pirandello (2006), Il malato immaginario (2008) e Emigranti (2006) . L’importanza dei classici, nella prospettiva di Massimo, diventa centrale per la formazione del giovane attore che in questo modo ha la possibilità di confrontarsi sulla commedia dell’arte, sul comico, sul grottesco e sul tragico. Il corso di formazione diventa una palestra e dà la possibilità all’attore di essere inserito in un contesto produttivo anche di sperimentazione che riesce a comprendere con maggiore facilità.
Gli ultimi anni della produzione di Massimo e della sua Compagnia si sono concentrati sul filone della tragedia realizzando spettacoli come Medea (2007), Jenin. Incubi di guerra (2004) e Ecuba (2008) . Quello della tragedia non ingloba solo spettacoli che potrebbero benissimo essere marchiati con l’etichetta di “classici” ma anche testi nuovi, come è il caso di Jenin. Incubi di guerra, e su questi l’aspetto di progettazione è non indifferente.
Nel riprendere i testi classici della letteratura teatrale per riproporli sulla scena Massimo parte dal testo scelto per poi abbandonarlo e creare una storia tutta sua. Tuttavia il risultato di un simile lavoro non è sempre lo stesso, è necessario portare dunque tre esempi diversi di riscrittura per capire l’atteggiamento di Massimo nei confronti delle grandi opera del passato.
Nel lavoro fatto sull’Antigone, resta la struttura classica del testo anche se viene adattato e modificato tagliando alcuni personaggi e potenziandone altri di maggiore interesse. È un’operazione di regia che Massimo compie senza l’ausilio di un drammaturgo.
Innovazione e tradizione si condensano in Ecuba in cui, pur mantenendo una scrittura classica, viene completamente ribaltato il lavoro che va dalle Troiane ad Ecuba.
Per quanto riguarda il terzo esempio rimando al capitolo successivo in cui viene analizzato il lavoro di riscrittura di Medea preso in considerazione.

 

Enzo Costabile

Il rapporto che ha legato i due artisti calabresi Enzo e Massimo, il primo scomparso prematuramente nel 2003, è sempre stato di affetto e stima reciproca oltre che culturalmente stimolante.
Enzo Costabile, nasce a Cosenza il 14 Novembre del 1941. Si laurea in Scienze Politiche all’Università Federico II di Napoli. Nel 1965 la Presidenza del Consiglio gli conferisce il Premio “Sud che scrive”. Inizia la carriera giornalistica nel 1975, con il quotidiano cosentino “Il Giornale di Calabria”, in cui si occupa prevalentemente della pagina culturale; successivamente è prima protagonista, nel 1983, della nascita di una nuova testata, “Oggi sud”, come caposervizio ed inviato, poi collabora con la “Gazzetta del sud”. Nella sua attività di giornalista si segnalano anche lunghe esperienze televisive (Rete Alfa,Ten) e la decennale collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Cosenza in qualità di Capo Ufficio Stampa. Pubblica la sua prima raccolta di poesie, Delirio buffo, nel 1968. Negli anni successivi arrivano diversi racconti brevi pubblicati sulla rivista artistica mensile Dismisura ed alcuni testi poetici pubblicati sui Quaderni del poeta. Suoi sono anche i testi per le musiche dei Dedalus raccolti in due cd: Dedalus: La terra del sole (1999) e Bagdad (2003), in una serie di Lp: Singolare femminile (1987), Terra delle ginestre (1987), Madre mediterranea (1993).
È autore di diverse opere teatrali: El tempo non mata el dolor (opera incompiuta) (2003), Medea (1999), Il velo e la sfida – Tommaso Campanella e l’arte della dissimulazione onesta (1998), La paga del re: Gioacchino facette a legge e Gioacchino murette (1995), Que Viva Che (1988), La terra delle Ginestre (1987).
Enzo Costabile muore in un caldo giorno di agosto del 2003 .
Massimo Costabile ed Enzo Costabile, che pur portando lo stesso cognome non sono legati da parentela, collaborano diverse volte per la realizzazione di progetti comuni. L’opera incompiuta El tiempo non mata el dolor (2004), messa in scena nel 2004 nel primo anniversario dalla morte di Enzo, è un’ opera che consta di un progetto complesso. Massimo ancora una volta propone un lavoro al suo amico ma in quest’opera Enzo non sarà l’unico drammaturgo. Nel progetto di Massimo, l’opera dovrà comporsi di otto quadri narranti di diverse situazioni drammatiche emotivamente molto forti. Tra i vari temi trattati, dalla pena di morte alla droga, dalla follia alla violenza sulla donna, quello scelto da Enzo riguarda il problema della incomunicabilità e della solitudine ad essa connessa. Protagonisti di questo quadro sono un attore e un’ attrice che non si incontrano mai nonostante parlino tra di loro, si intersecano ma rimangono nella propria solitudine. Nell’incompiuta del 2004 Massimo porta sulla scena oltre, agli attori Natale Filice e Antonella Carbone, anche i Dedalus e la loro musica dal vivo.

 

MEDEA: VARIAZIONI DEL MITO
Scheda di analisi


I rapporti tra testo e rappresentazione si influenzano reciprocamente fino a fondersi un unicum percepibile dallo spettatore in uno stesso istante nel testo (e)messo in scena.
Nel caso del lavoro compiuto da Enzo e Massimo Costabile si può stabilire tuttavia lo statuto del testo drammatico percepibile nella messa in scena ed esistente indipendentemente da essa: è un testo pubblicabile, leggibile e ascoltabile anche sotto un’altra forma di oralità scenica. Il testo drammatico Medea di Enzo Costabile esiste indipendentemente e anteriormente alla sua enunciazione scenica e questo fa si che possa essere riletto e confrontato con la messa in scena proposta da Massimo Costabile.
Trattandosi della ripresa di un testo classico, situerò lo stesso in un preciso contesto storico al momento della sua riscrittura cercando di chiarire le circostanze contingenti e socioculturali. Seguiterò ad esplicitare l’articolazione e l’impianto della fabula e analizzerò i personaggi presenti all’interno del testo drammatico analizzandone: il carattere, ossia le qualità di ogni personaggio; il pensiero, ossia tutto ciò che i personaggi del dramma dimostrano attraverso le loro battute e il linguaggio . Terrò conto dei medesimi punti di analisi anche per lo studio del testo euripideo.
Nel raffronto del testo di Enzo Costabile con la messa in scena di Massimo Costabile prenderò in esame le eventuali modifiche del testo nella scelta della versione scenica; della performance degli attori, in particolar modo della costruzione del personaggio e la relazione attore/ruolo e del rapporto testo/corpo. Della messa in scena analizzerò inoltre gli oggetti utilizzati durante la rappresentazione, i costumi, il trucco e l’aspetto scenografico: la funzione drammaturgica dello spazio scenico e della sua occupazione, il legame tra lo spazio utilizzato e la finzione del testo drammatico messo in scena, il rapporto tra mostrato e nascosto, il sistema dei colori, delle forme, delle materie. Esaminerò inoltre, la funzione della musica e del silenzio in rapporto alla fabula .

 

La fabula in Enzo Costabile

La voce di Giasone, che rimbomba nella testa di Medea, apre la scena. La vicenda è narrata attraverso le visioni e gli incubi di Medea. La donna non fa altro che raccontare la sua storia e lo spettatore si trova costantemente in bilico nel capire ciò che Medea ha realmente compiuto e ciò che dovrà ancora fare. Nel dialogo con Creonte le viene annunciato l’esilio e a seguito di ciò medita la sua vendetta. La morte di Creusa viene raccontata da Creonte. Segue il dialogo tra Medea e Giasone il quale le spiega le ragioni del suo matrimonio con Creusa. Medea uccide i figli e a questo evento segue la disperazione di Giasone.
La tragedia si conclude con un lungo monologo in cui Medea ripercorre la sua vita.

 

Medea, vera e unica protagonista

Medea appare nel testo drammatico di Enzo Costabile, in tutta la sua forza e, al tempo stesso, in tutta la sua fragilità. È una donna intelligente ma si lascia sconvolgere dall’amore per uno straniero e, nelle parole del coro, suo alter ego, presenta la sua storia e se stessa: «Non ti conoscevo. Non ti ho chiamato. Non sapevo il tuo nome. Un giorno sei arrivato ed hai cambiato la mia vita e non ho avuto più pace» . È per lui che Medea rinuncia alle ricchezze e ai poteri delle arti magiche diventando sua moglie e madre dei suoi figli: «Chi potrà ripagarmi per quello che ho fatto per te, chi ti ha permesso di arrivare al vello d’oro? Chi ti ha guidato e difeso nelle insidie, chi ti ha regalato giorni e notti interminabili e figli gagliardi, invidia di tutti? […] ti sei preso tutto» .
È sprezzante del pericolo, un’eroina che pur di rendere felice l’uomo che ama, non esita a compiere deplorevoli crimini contro la sua stessa famiglia e, senza esitare, lascia la sua terra donandosi completamente a lui. Per questa sua presa di posizione può essere considerata una donna moderna.
Un’amante perfetta e una moglie scrupolosa, il coro la disegna come una donna completa, eppure «l’uomo a cui ha donato tutto ti ha rinnegata, disprezza il tuo dono, ti condanna alla vergogna e all’esilio» . Anche come madre Medea è un modello esemplare, affettuosa e protettiva con in suoi figli che vuole difendere dall’esilio e dalle sofferenze che potrebbero derivarne: «io vi salverò […] non temete non vi lascerò. Non permetterò a nessuno di oltraggiarvi. Vi difenderò, veglierò su di voi notte e giorno» .
L’amore le ha cambiato il modo di vivere, le è costato innumerevoli rinunce e si sente gravemente ferita nel momento in cui viene a conoscenza del tradimento di Giasone il quale «Per lei (Creusa) hai cancellato il nostro segreto … per il suo corpo di gazzella ed i suoi abbracci languidi mi hai rinnegato … per la sua bocca hai offeso il tuo giuramento …» .
Non ha mai rimpianto né il suo passato e né le sue scelte ma tutto ciò che apparteneva alla sua vita prima dell’incontro con Giasone lo rimette in discussione nel momento in cui si sente gravemente ferita. Medea, dotata di una spiccata capacità di riflessione e di analisi, ha sete di vendetta: «mi vendicherò … vi vendicherò … ci vendicheremo …»
È astuta ma la sua fragilità e umanità si colgono proprio nella grande importanza che ha dato all’amore collocandolo al centro della sua vita con Giasone e i suoi figli. Non si scorge tuttavia il carattere della donna gelosa, ma solo offesa dall’abbandono di Giasone il quale pare non abbia compreso i sacrifici da lei compiuti per poterlo aiutare nelle sue conquiste, lo chiama infatti «stolto» . L’abbandono, da parte del suo uomo, la conduce ad una follia estrema, un dolore lacerante a cui cerca disperatamente di dare sfogo. Sopporta e affronta l’afflizione, ha la capacità di andare contro colui che detiene il potere, ha la forza della ribellione.
La Medea del delirio, vittima delle sue visioni che la conducono in un cunicolo buio lasciandola sempre sospesa tra ciò che ha realmente fatto e ciò che ha solo pensato, è una donna che alla fine resta vittima della sua solitudine, «Sola qui in questa terra straniera» .
Un altro motivo della sua sofferenza è l’esilio a cui viene condannata dal re di Corinto, «sei bandita da questa città, non puoi più restare entro le sue mura, devi andare via» , e dal suo stesso marito, «Giasone è d’accordo» . Nonostante viva una vicenda tormentata, non perde la lucidità della donna istruita quale lei è. Medea è sempre stata temuta per le sue conoscenze delle arti magiche da chi la ospita nella terra di Corinto e dal suo stesso compagno.
La Medea del silenzio e della riflessione appare la donna che mette più paura, anche Giasone infatti dice: «Ho imparato a temere di te soprattutto i silenzi». È un atteggiamento che sfrutta a suo vantaggio costruendosi i suoi piani di vendetta.
Passionale ma riflessiva, cerca di vedere con lucidità ciò che le sta succedendo. Combatte contro se stessa per far prevalere la razionalità sui sentimenti, si ritrova tuttavia prigioniera dei suoi pensieri e delle sue azioni, e le riesce difficile scindere ciò che è reale da ciò che sta solo immaginando. Affronta con tenacia la sofferenza che le viene inflitta e con astuzia, non svela a Creonte ciò che di crudele la sua mente sta elaborando, tanto da chiedergli: «non mi vuoi concedere nemmeno il tempo di raccogliere le mie povere cose, di preparare la partenza nel modo più dignitoso?» .
Sicura di se stessa, la barbara ospite nella terra di Corinto, non offre a nessuno la possibilità di poter dire qualcosa di male su di lei: lei è nel giusto, non ha mai recato offese di alcun tipo a nessuno. È l’odio contro Giasone, «Il mio odio per lui è tanto grande che […] anche se volessi, non ne avrei più abbastanza per nessuno» , contro la sua offesa, che la incoraggia a studiare la vendetta. La disperazione di rimanere senza la persona che ha tanto amato e che nonostante tutto continua ad amare pazzamente, le fa elaborare il piano per far morire la promessa sposa Creusa, e suo padre. A questa disgrazia Medea ne aggiunge un'altra: la morte dei suoi figli, l’unica punizione possibile per Giasone: «Medea non scorderà mai il tradimento di Giasone, Giasone non potrà dimenticare la punizione di Medea» . Con questo gesto, da una parte vuole distruggere il legame che la unisce a Giasone, i figli infatti, dice Medea a Giasone, «sono l’unico filo che ci lega» , di conseguenza è un gesto che reifica la volontà di mettere fine al loro amore; dall’altra è una prova d’amore nei confronti dei figli stessi, ella infatti non vuol far loro soffrire l’esperienza dell’esilio e vuole continuare a sentirli solo suoi, «Apparterrete solo a me» .
Nella Medea di Enzo Costabile l’uccisione dei figli è un gesto grave che testimonia la ribellione della donna, tradizionalmente simbolo della debolezza, dinnanzi al potere, è il riscatto della parte debole verso il più forte: «Vederti soffrire mi ripaga del mio dolore» . Non è una rivalsa che va letta in termini femministi ma ha le connotazioni di un disagio socio-politico di colui che, nelle difficoltà, trova voce e spazio solo nel momento in cui è capace di compiere un atto estremo, di andare al di là delle convenzioni affinché, chi riveste un ruolo politicamente e socialmente importante, possa prestargli attenzione. Medea incarna non solo la donna moderna che può ritrovare se stessa ma anche l’uomo e il cittadino ordinario.
L’assenza di un vero dialogo tra Medea e Creonte e Medea e Giasone, se da un lato risponde al tentativo di mettere in luce e dare importanza solo alla figura di Medea, dall’altro è indice della difficoltà di comunicazione, e talvolta della sua totale assenza, tra chi nella società attuale riveste cariche socialmente importanti e la gente comune.
La novità del personaggio è l’averla situata non in uno spazio ben definito ma all’interno della sua stessa mente. Questa scelta mette in luce la scarsa importanza riservata alla Medea maga ma penetra il personaggio rendendolo umano così da dover fronteggiare i suoi stessi pensieri, le sue stesse passioni, «Liberatemi dall’incubo, […] … liberate la mia mente da questa gabbia …» .
Il ruolo di donna sofferente a causa di un tradimento è un ruolo che potrebbe essere coperto da chiunque, questo fa si che il pubblico possa immedesimarsi nel personaggio con estrema facilità e possa vivere i suoi stessi sentimenti.
Nato come un monologo, le battute della protagonista si susseguono a ritmo sostenuto quasi stesse recitando un poema. Denso di metafore soprattutto animali, come ad esempio Medea stessa che si descrive come «il leone ferito» che «non concederà tregua» , il testo recitato sia da Medea che dal coro rimandano ad immagini forti e suggestive. Già ad una prima occhiata si può scorgere la poeticità del testo per Medea ed il coro in quanto è scritto in versi.

 

Personaggi ausiliari: Creonte e Giasone

Il carattere dei due personaggi maschili che compaiono sulla scena, Creonte e Giasone, sono scarsamente delineati in quanto personaggi ausiliari rispetto a Medea. Sia Creonte che Giasone sono proiezioni della mente di Medea.
Creonte è un uomo che non ama i grandi discorsi, le battute per lui scritte sono infatti brevi in tutto il testo, tuttavia egli cerca di far valere la sua figura da sovrano. È il re di Corinto, perciò è colui che decide: «Io sono il re ed ho deciso così» . Pur essendo un sovrano manca della strategia che è ciò che fa veramente grande un regnante, e mira invece, ad aumentare la ricchezza del suo regno. È un uomo che ama la propria figlia e le sue decisioni sono mosse in funzione di questo amore paterno. L’immagine che di lui viene data è quella di un uomo che mette da parte la propria volontà per fare delle scelte che giustifica solo a valle di altri ordini superiori, come ad esempio la legge o il volere della figlia. Rivolgendosi a Medea le spiega uno dei motivi che la conducono all’esilio: «Creusa, come dono (di nozze) mi ha pregato di scacciarti, non vuole saperti in giro, intorno alla sua casa, nel giorno della sua festa» . Vuole proteggere il suo territorio e la sua gente, desidera vivere tranquillamente.
È un uomo ingenuo, non è capace di destreggiarsi nelle diverse situazioni e per questo motivo si appella a leggi o al ruolo che lui stesso ricopre. Sebbene non sottovaluti Medea, «La tua mente è un vulcano sempre pronto a bruciare con la sua lava infuocata» , fa sfoggio del suo potere e della sua bontà concedendole quel giorno in più che sarà la sua rovina, «E sia come vuoi, resta pure» .
Giasone viene presentato come un uomo dedito solo ai suoi interessi: «voglio diventare re di Corinto ed avere altri figli» . È un guerriero, è l’eroe che ha viaggiato, che ha affrontato mille difficoltà e peregrinazioni, tuttavia dimentica che se ha raggiunto determinati obiettivi è anche grazie alla donna che gli sta accanto, la quale non solo lo ha aiutato nei momenti di difficoltà ma si è data interamente e senza chiedere nulla in cambio.
Va fiero della sua virilità, rafforzata dal fatto di avere dei figli maschi ai quali è fortemente legato tant’è che dopo la loro uccisione dice: «senza i miei figli le stagioni appassiranno inaridite dalla grandine» .
L’amore nei confronti di Medea sembra essere più un sentimento di comodo, atto a valorizzare se stesso come uomo e come eroe. Possedere una donna bella ed intelligente è un vanto, è un mezzo che lo ha aiutato ad affrontare le difficoltà, ma ora la situazione è cambiata e lui vuole «sposare Creusa, è una principessa come lo eri tu, è giovane come lo eri tu (Medea) quando ti ho incontrato» .
È un uomo senza scrupoli, egoista, assetato di potere e di ricchezza, vuole diventare re di Corinto e «per queste ragioni ho scelto una nuova moglie» . Non sembra avere la stessa astuzia della madre dei suoi figli, e di questo ne è consapevole: «so quanto puoi fare quando chiami a raccolta le tue arpie o quando invochi le tue arti magiche» . Giasone ha sempre vissuto di momenti e sensazioni labili e sfuggenti. Conosce bene Medea, la teme, sa che lei è potente e che potrebbe causargli grandi problemi, tuttavia il suo orgoglio maschile lo trascina a prendere decisioni importanti che di conseguenza, gli fanno abbandonare Medea. È un guerriero, non ha le doti intellettuali e la cultura di Medea, ha paura, cerca di nascondersi dietro bugie e false promesse, non a caso tenta di frenare l’ira della donna con queste parole: «Dal mio accresciuto potere beneficerete anche tu ed i tuoi figli» . Non gli importa nulla dell’amore che Medea prova per lui ma un posto importante nella sua vita lo occupano i figli da lui adorati, autocelebrazione di se stesso.
I dialoghi di Medea con Creonte e Giasone sono stati creati sotto l’esplicita richiesta del regista Massimo Costabile che ha guidato il lavoro di Enzo cercando di rendere la sua poesia un testo appartenente più al genere drammaturgico.

 

L’alter ego di Medea: il coro


Il coro è l’alter ego di Medea, l’eco dei suoi pensieri che si rivolgono ora a se stessa e ora a Giasone. La funzione del coro è quella di mettere a nudo i pensieri di Medea, ripercorrendo il suo passato e le avventure vissute con Giasone. Il coro chiarisce lo stato in cui si trova Medea descrivendola con frasi forti: «Donna senza patria e senza amici […] Donna con il cuore spaccato» . Il coro sembra essere la parte razionale di Medea, quella che cerca di distinguere la realtà dal sogno, con la consapevolezza tuttavia, che le due dimensioni sono sottilmente legate tra di loro ed è pertanto facile confondere ciò che accade con i pensieri filtrati dall’immaginazione. Poggiandosi sull’esperienze del passato il coro rafforza i pensieri di Medea e ripercorre la sua storia.

 

Le didascalie di Massimo Costabile

Le didascalie presenti all’interno del testo drammatico sono state scritte da Massimo Costabile, sebbene l’intero testo sia opera di Enzo Costabile. Ciò testimonia il legame di collaborazione che ha consentito al regista di scrivere le indicazioni per la messa in scena e definire ulteriormente il personaggio di Medea. Questo tipo di lavoro è stato possibile in quanto, le idee pensate dal regista andavano di volta in volta a fortificare e rendere più drammaturgica la scrittura di Enzo Costabile. Le didascalie di tipo descrittivo contribuiscono a specificare il carattere di Medea , quelle di tipo prescrittivo danno precise indicazioni ai tecnici sull’uso delle luci, delle scenografie e delle musiche per la messa in scena; guidano i movimenti nello spazio degli attori ; offrono indicazioni precise per la modulazione della voce di Medea; stabiliscono quando e come usare gli oggetti scenici.
L’intero testo Medea, proprio perché scritto a quattro mani, non presenta alcuna divergenza con la messa in scena finale ma la rispetta pienamente.

 

 

Le tematiche di rilievo trattate

I temi sui quali sofferma l’attenzione Enzo Costabile sono la visione, l’amore, il potere politico e l’esilio.
La visione deve essere considerata come una caratteristica propria di tutti gli esseri umani di interrogare se stessi e ripercorrere i propri vissuti.
L’amore è trattato sia come sentimento romantico e passionale tra Medea e Giasone, seppur tradito da quest’ultimo, sia come sentimento materno e quindi di protezione di Medea nei confronti dei figli.
Il potere politico emerge soprattutto dal confronto tra Medea e Creonte ma la stessa figura femminile rappresenta il semplice cittadino incapace di farsi ascoltare e perciò chiuso nei suoi monologhi.
L’esilio risulta essere immotivato agli occhi di Medea ma necessario per i suoi nemici.

 

 

Perché rappresentare Medea?

L’interesse che guida Massimo è un lavoro sulla donna nella tragedia iniziato già con Maledetta (1996) e che, dopo Medea, è proseguito con Antigone (2002), Jenin ed Ecuba.
Massimo sceglie Enzo e gli propone un lavoro di riscrittura del testo di Euripide perché con lui aveva già affrontato il discorso su Tommaso Campanella in Il velo e la sfida. Massimo prosegue l’opera iniziata già con Ricostruzione di un delitto (1988), in cui lavora sull’impossibilità di esprimere pienamente il sentimento del dolore e si riesce a percepire solo un urlo soffocato. «Dal punto di vista della regia, mi interessava che il lavoro finale portasse alla messa in scena dell'urlo, un urlo sempre sul punto di esplodere» .
Il lavoro sulla tensione dell’attore, riflesso poi sul pubblico, è l’obiettivo che il regista si pone di raggiungere. Tutte le forze devono essere concentrate sul personaggio Medea, Giasone e Creonte sono delle proiezioni della sua mente, mentre il coro sono i suoi pensieri. Ogni testo che Enzo scrive viene sottoposto al giudizio di Massimo. Il primo lavoro che il drammaturgo propone all’attenzione del regista è un monologo. Ciò che Enzo scrive, deve essere inserito da Massimo nel suo progetto di messa in scena, il lavoro infatti non consiste semplicemente nell’ordinare un testo ad un drammaturgo, ma diviene un confronto continuo tra i due. Il testo viene costruito man mano in funzione della messa in scena ed è questo che deve essere al servizio del progetto del regista e non il contrario. Le proiezioni della mente di Medea immaginate da Massimo, non devono essere figure proiettate da un videoproiettore ma è l’attore in carne ed ossa il quale, posto al di sopra della scena crea una sorta di flusso; è perciò indispensabile costruire un testo capace di dare un simile effetto.
Nonostante i due artisti camminino in maniera sincronica, durante le prove in preparazione allo spettacolo c’è sempre qualcosa che modifica il testo originale proposto dal drammaturgo. Durante la preparazione dello spettacolo Medea non sono mancati episodi di cambiamento del testo drammatico, Massimo ha modificato alcune parti all’interprete di Medea, Antonella Carbone, solo due giorni prima della messa in scena. Per fare ciò è indispensabile da una parte avere l’attore creativo, pronto a modificare su richiesta del regista la parte di testo che sembra non funzionare per la messa in scena, dall’altra parte è necessario lavorare con un drammaturgo che non sia geloso dei propri pezzi e che abbia con il regista un rapporto di collaborazione e comprensione che miri alla realizzazione di un ottimo spettacolo.
La prima messa in scena di Medea è del 1999, prodotta dal Centro R.A.T. con la regia di Massimo Costabile e la presenza dei seguenti attori: Antonella Carbone, Gianfranco Quero, Nunzio Scalercio, Emilia Brandi, Elvia Gregorace . Nel 2007 la compagnia Lalineasottile riprende l’opera per omaggiare Enzo Costabile, scomparso quattro anni prima, con una produzione propria. Nessuna differenza tra le due messe in scene a parte gli attori che, eccezion fatta per Antonella Carbone nei panni della protagonista, vengono sostituiti da: Luigi Iacuzio, Marco Silani, Desirèe Cozzolino, Gisella Secreti . Vengono riutilizzate gli stessi pannelli scenografici realizzati da Salvatore Anelli e le stesse musiche originali create da Mario Artese. Cambiano i curatori delle luci, nella prima produzione se ne occupa Paolo Carbone, nella seconda Mario Giordano le cura insieme alla fonia.

 

 

La scelta dell’interprete di Medea

Il personaggio di Medea nasce su quella che sarà poi la sua interprete: Antonella Carbone. La scelta della protagonista, da parte del regista, è a monte dell’intero lavoro. Tale scelta non è determinata principalmente dalla bravura e dalla forza espressiva di Antonella Carbone, qualità indubitabili nell’attività artistica della stessa, ma è frutto di un percorso di studi che vede coinvolti il regista e l’attrice e che si protrae da diversi anni. Il lavoro che entrambi hanno fatto sui classici ha coinvolto loro a tal punto di entrare in una sorta di simbiosi l’uno con l’altro: Antonella si è resa immediatamente flessibile alle richieste del regista e Massimo ha potuto lavorare tenendo conto delle caratteristiche dell’attrice. Anche Enzo Costabile era a conoscenza del fatto che Medea dovesse poi essere interpretata da Antonella e il suo testo è stato funzionale a questa scelta.

 

 

La messa in scena di Massimo Costabile

È buio. Luce bassa sulla protagonista e musica stridente come sottofondo. Di spalle al pubblico, Medea indossa un abito lungo fino ai piedi di colore nero, a maniche lunghe. I suoi capelli sono sciolti. Si leva da dosso un vestito rosso da donna e si volta verso il pubblico con le braccia e le mani che le coprono il viso.
Ritorna il buio e un suono di flauti fa da sottofondo a Medea la quale si avvicina alle pareti scenografiche. Gli alti pannelli scenografici di colore bianco, hanno una struttura che ricordano quella del cervello umano grazie ad un intreccio di teli e corde.
La voce di Giasone fuoricampo che arriva amplificata, è la prima che apre la tragedia. Sono parole che riecheggiano nella testa di Medea e al termine di queste la musica si interrompe.
Medea inizia a recitare il primo monologo con voce forte, mentre le sue mani si aggrappano alle pareti sceniche. Tale postura rappresenta la volontà di scavare nella sua mente e riportare alla coscienza i pensieri che affollano la sua testa. Si gira lentamente riflettendo sul tempo che ha a disposizione e su quello già trascorso, e riprende lo stesso sottofondo musicale che ha accompagnato le parole di Giasone.
La musica cambia e Medea recita su un volume musicale basso. Continua a recitare senza spostarsi dalle pareti regolando il volume della voce in maniera crescente. Ritorna ad usare un tono di voce normale e con l’espressione «le vostre parole come denti di drago dilaniano la mia anima» , il tono di voce cresce mentre il suo corpo scivola lentamente verso terra. Le luci si abbassano e vengono proiettate sulla scena luci blu. Quando Medea inizia a parlare dei figli, e l’incipit è dato dall’espressione «Passerotti» , la musica cessa. La voce è sempre più forte fino a quando dice: «i miei figli non mangeranno la vostra polvere… piuttosto…» , poi si riabbassa nuovamente. Nel riferirsi direttamente ai figli, il tono della sua voce è basso, quasi a voler dare di se stessa l’immagine di una madre rassicurante e disegnare una intimità familiare che può costruire solo con loro. La voce la rialza nelle battute che rivolge a Giasone, e di nuovo si trovano sussurrate le frasi riferite ai figli.
Buio. Musica ad alto volume.
Una luce fioca illumina le pareti nella parte posteriore delle stesse, evocando l’immagine del cervello. Arrampicato e immobile sulle pareti sta il coro, composto da due attrici vestite con abiti lunghi, bianchi, con ampie fasce e un copricapo sempre di fasce bianche. La musica si abbassa. Le attrici si alternano nel recitare le battute, la prima delle quali è pronunciata dalla figura che si trova sulla parete destra. Nelle battute «Ieri è un sogno dimenticato in fretta, un ricordo che sbiadisce al tramonto, una voce perduta in mezzo alla folla, una piazza deserta, una promessa muta» ricorrono ad un gioco di eco.
Si sente il grido di Medea in lontananza che prova dolore a ricordare l’inizio della sua storia con Giasone. La musica cresce, le luci dietro le pareti si spengono e appare Medea al centro del palcoscenico buio. Recita rannicchiata su se stessa, sofferente per il destino che l’attende.
Il coro ricomincia a recitare senza alcuna musica di sottofondo. Le attrici si muovono sulle pareti alternando le battute. Questo meccanismo di spezzare intere frasi fa si che i pensieri di Medea appaiano molto confusi. Medea recita la battuta successiva a voce più forte, tonalità usata per progettare le sue vendette. Il coro riprende a scalare le pareti e a recitare, continua ad alternare le sue battute a quelle di Medea fin quando, con voce crescente, introduce l’ultimo monologo di Medea della prima scena e poi esce.
Riprende la musica, Medea si alza e si allontana dalle pareti. Le luci sono basse e rosse. Ha le braccia strette attorno a sé. Il monologo procede ad alta voce ma quando parla ai figli questa si abbassa. Alle parole «Mi vendicherò» Medea si gira di spalle e impugna il coltello. Si rigira verso il pubblico alla frase «Avrebbero fatto meglio ad ucciderci subito» , mostrando il coltello, con voce in crescendo e abbassandosi in ginocchio sul palcoscenico. Il pugnale conficcato sul palco, che mostra al pubblico di che morte moriranno i suoi figli, chiude il monologo e la prima scena.
La musica si alza. Medea ritorna in piedi, si guarda le mani e al buio indietreggia fino alla parete.
Compare Creonte, in alto sulla parete, illuminato da una luce gialla. Un tulle nero è posto dinanzi a Creonte per aumentare l’effetto di immaterialità della sua presenza. È vestito con un abito lussuoso dell’antica Grecia. Recita le sue battute stando in piedi, immobile. La sua voce arriva amplificata così da sembrare in un luogo diverso da quello in cui si trova Medea, un luogo lontano. Dopo aver annunciato a Medea l’esilio, la musica si ferma. La donna dialoga con Creonte rimanendo attaccata alla parete. Solo i due personaggi sono illuminati. Medea alza la voce per difendersi e per dimostrare che non ha compiuto alcun crimine che possa motivare il suo esilio. Le parole contro Giasone sono pronunciate a voce forte. Le accuse fatte da Creonte a Medea sono urlate. Quest’ultima in ginocchio chiede di rimanere un giorno in più.
Il dialogo tra i due termina con la battuta di Creonte che concede alla donna quanto richiesto. Si spegne la luce su Creonte e ricomincia la musica.
Medea è ancora in ginocchio al centro della scena. Occhio di bue sulla donna. Davanti a lei c’è il vestito di donna rosso, lo stringe a sé e inizia il monologo riferito a Creonte. Si alza in piedi dando le spalle al pubblico. Dalle pareti scenografiche scorre, come una cascata, del liquido rosso che rappresenta il sangue. Continua il suo monologo a ritmo sostenuto in cui parla di Giasone. La musica decresce fino a sparire. Medea si volta lentamente verso il pubblico e pronuncia le ultime due frasi che chiudono la seconda scena.
Ricomincia la musica. Le luci sono rosse e basse. Il coro si muove sul palcoscenico avvicinandosi a Medea, seduta al centro dello stesso, tiene in mano il vestito da donna, lo muove in ogni direzione e lo fa aderire al suo corpo. Le attrici del coro sono legate da lunghi veli bianchi alle pareti. A partire dalle parole: «Le furie sono scatenate» , il coro inizia a recitare muovendo le braccia attorno al viso. Immobile Medea pronuncia le sue parole tenendo stretta a sé l’abito da donna che alla fine della battuta alza in alto.
Sopra di lei appare Creonte. È appena illuminato. La sua voce è bassa. Racconta la morte di Creusa. Stringe le braccia a sé. Quando Creonte termina di pronunciare le sue parole anche la musica si ferma e il personaggio esce dalla scena.
Il coro, immobile sul palcoscenico, recita a voce bassa e a ritmo regolare. Su di esso c’è una leggera luce rossa. A termine delle sue battute il coro esce.
Medea è ancora a terra. Lascia cadere il vestito che aveva in mano davanti a sé. Una fioca luce gialla la illumina. Dopo aver pronunciato le parole «Non toccate i miei figli» , Medea si alza e si avvicina alla parete, sostenendo una aspra lotta contro i suoi pensieri. Alle parole «Figli di madre maledetta… condannata dagli dei e dal suo stesso uomo» Medea si avvicina al coltello piantato al suolo e si inginocchia là davanti.
Si apre la quarta scena. Ricomincia la musica.
Appare Giasone in alto, sopra Medea. Anche lui, come Creonte, è vestito con un abito che rimanda alla classicità. Davanti a lui un tulle nero conferisce l’idea di una immagine irreale. Recita ritto su se stesso, immobile. La voce arriva amplificata.
Alle parole di Medea la musica svanisce. Lei recita in ginocchio. Il coro rafforza le sue parole pronunciandole mentre scala le pareti. Medea e il coro sono illuminati da una luce più fioca, mentre Giasone è illuminato da una più nitida. Medea si alza da terra quando accusa Giasone di essere stolto. Giasone chiede a Medea di non sfidarlo ma queste parole scatenano una rabbia maggiore nella donna che gli risponde alzando la voce. Medea, nel ricordare ciò che lei stessa ha compiuto per Giasone, rimodula la voce abbassando il suo volume.
La scena termina con Medea che alza le mani chiuse a pugno sul suo viso a simboleggiare il gesto che compirà per vendicarsi. Giasone esce dalla scena.
Il coro dà voce a quelli che sono i pensieri di Medea, li recita mentre sta fermo sulle pareti. Nelle ultime parole del coro viene chiesto a Medea di fermare le sue azioni vendicative, ma lei ormai ha già deciso e non può tornare indietro. Riprende la musica e Medea si avvicina alla parete e muovendosi attaccata ad essa. Si rannicchia a terra sulla parete sinistra e rivolge le ultime parole ai suoi figli. Si tormenta nei suoi pensieri. Al termine del monologo appare Giasone il quale, sottovoce, cerca i figli. Medea è sempre attaccata alle pareti e spiega a Giasone che la morte dei figli è dovuta alla sua decisione. L’uomo, illuminato da una luce gialla, anche nel momento del grande dolore, parla nella sua posizione statuaria, questo a dimostrazione che in realtà l’immagine di Giasone non è reale. La scena quinta si conclude con il monologo di Giasone, al termine del quale esce. La luce su di lui si spegne, così come la musica cessa.
Si illumina di luci azzurre tutta la scena. Medea è sulla parete sinistra con le spalle rivolte verso il pubblico, inizia a recitare il suo ultimo monologo. Si muove lungo le pareti, si volta verso il pubblico e conquista il centro della scena, senza mai distaccarsi dalle pareti. È stretta tra le sue stesse braccia. Si inginocchia in silenzio e estrae il pugnale conficcato sul palco. Quando si rialza dice: «Le mani sanguinano…» , volge la spalle al pubblico e ritorna verso le pareti. Con la frase «ciò che è stato è per sempre» si spengono tutte le luci tranne quella su di lei. Riprende la musica. Al centro delle pareti si apre un’uscita dalla quale va via dalla scena.

 

 

La morte di Glauce: Analisi e confronto.

La morte di Glauce è una scena nodale all’interno del testo drammatico sia di Euripide che di Enzo Costabile, così come nel testo scenico di Massimo. L’evento mette in luce la Medea vendicativa e omicida. Questo momento preannuncia l’atto finale della donna. L’analisi di questa scena evidenzia anche il rapporto tra due donne tanto diverse come Medea e Glauce.
Nelle due versioni Glauce viene descritta negli attimi tragici che la conducono alla morte. Due personaggi raccontano l’episodio: in Euripide è il servo di Giasone, mentre nel testo di Enzo Costabile è Creonte.

 

 

Vanità e amore come causa di morte

Enzo Costabile racconta la morte di Creusa nella terza scena successiva a quella che segue il dialogo tra Creonte e Medea. È la stessa Medea a preannunciare la morte di Creusa, che diventa una punizione nei confronti di Giasone, nel monologo che chiude la seconda scena. Egli infatti, a causa della morte per mezzo del vestito stregato regalato a Creusa da parte di Medea, si ritroverà con «un fantasma tra le braccia, un fantasma che svanirà ogni volta che cercherai di stringerlo, una vuota immagine che si prenderà gioco di te come hai fatto con me» . La donna tradita e scacciata cerca un modo per far soffrire gli stessi suoi dolori sia a Creonte che ai futuri sposi. Nel testo di Enzo la figura di Creusa, già descritta dalle parole di Medea come una ragazza con un «corpo di gazzella» e dagli «abbracci languidi» , si contrappone nettamente alla donna in quanto è anche per queste caratteristiche che Giasone l’ha scelta, viene poi presentata nella tragicità della sua morte da Creonte. Non ci sono altri personaggi intermedi che raccontano la morte di Creusa ma è il padre a farlo, che in realtà è anch’egli morto, e lo si evince dalle parole da lui recitate: «eravamo entrambi accasciati, senza più vita» .
Creonte, della figlia mette in risalto la vanità perché si lascia sedurre dalla bellezza del dono ricevuto da Medea e a cui non oppone alcun tipo di resistenza, indossandolo con immediatezza, e pagando però «la sua vanità con la rovina sua ed anche mia (di Creonte)» . Nella riscrittura di Enzo non è facile leggere un personaggio femminile che possa contrapporsi a Medea se non nella sua bellezza e giovinezza, quindi ad un livello molto superficiale in quanto, a parte l’atto dell’indossare l’abito è descritta una sola azione che Creusa compie per difendersi dalle «fiamme sprigionatesi dall’abito con inaudita violenza» : Creusa urla. L’urlo della ragazza è una richiesta di aiuto, è un atto istintivo. Non c’è alcun accenno ad un suo tentativo di difendersi dalle fiamme. La mancanza di un simile elemento fa supporre che Creusa sia una ragazza debole, incapace di combattere, una fanciulla che ha sempre vissuto a corte con il padre e che non si è mai trovata in situazioni di pericolo.
Interessante è che il racconto della morte di Creusa sia affidato al padre, già personaggio secondario rispetto a Medea in tutta la tragedia, il quale in questo caso diventa fantasma di quello che è solo una immagine illusoria di Medea. In questo modo viene accentuato lo stato di confusione nella testa di Medea. Ci si trova dinnanzi ad una scena in cui a trionfare è, più che le immagini di morte, lo stesso pensiero della morte. Non ha importanza l’azione, essa è infatti ridotta all’essenza. La scena si conclude con Creonte che capisce il perché della richiesta del giorno in più fattagli da Medea e la presa di coscienza della sua stessa ingenuità.
La morte di Creusa è avvolta da un forte amore paterno, nelle parole di Creonte si legge infatti: «Per salvarla mi sono buttato nel fuoco […] il viso martoriato dal fuoco nell’estremo e inutile abbraccio» . Se Medea è uccidendo i figli che dice di volerli salvare, qui c’è il sacrificio di un uomo che paga con la sua stessa morte il vano tentativo di salvare sua figlia.

 

 

Racconto di un fantasma

Medea ha terminato il monologo in cui medita la vendetta. Su una musica triste entra da destra il coro che si è staccato dalle pareti ed è illuminato da una luce rossa. Si avvicina a Medea che è a terra con l’abito rosso da donna in mano che allontana e avvicina al suo corpo. L’abito è l’oggetto causa della morte di Creusa, il colore rosso richiama la passione amorosa che spinge Medea ad uccidere la rivale in amore, ma rosso è anche il colore del sangue e delle fiamme che causano la morte di Creusa. I movimenti delle braccia delle due attrici del coro evocano la confusione che cresce nel cervello di Medea, aumentano il rumore dei suoi stessi pensieri. Medea è ferma a terra, con voce decisa utilizza la metafora dell’albero e del frutto per descrivere la morte di Creusa. A questo primo delitto seguiranno la morte dei figli, dramma che già si mostra alla coscienza della donna che per tale motivo alza l’abito rosso davanti al suo viso come allusione di quello che sarà ancora altro sangue versato. Appare Creonte che con voce sommessa descrive la morte sua e della figlia. Richiama il tema della vanità della figlia e del suo amore per la fanciulla che cerca inutilmente di salvare. In questa descrizione emerge l’uomo Creonte, non più il regnante potente ma l’uomo fragile e ingenuo che, come la figlia, si è ritrovato vittima della smania di potere. La drammaticità della scena della morte di Creonte e di sua figlia è messa in risalto dall’assenza della musica dopo la descrizione compiuta dallo stesso. La mancanza dell’elemento sonoro riporta la scena in una dimensione reale e concreta attraverso le parole del coro il quale, al termine della battuta, esce in silenzio. Medea inizia a lottare con se stessa pensando al destino dei suoi figli i quali potrebbero essere preda della rabbia del popolo di Corinto perché la loro madre ha ucciso il sovrano di quella terra e sua figlia. La scena si conclude con la disperazione della donna la quale afferma la necessità di dover compiere il gesto peccaminoso nei confronti dei figli.

 

Conclusioni

Dall’analisi e dal confronto dei testi drammatici di Euripide, Enzo Costabile e del testo scenico di Massimo Costabile, emergono differenze rilevanti ma anche punti comuni.
La tragedia di Euripide resta insuperata per quanto riguarda la fine trattazione di vari temi che restano a tutt’oggi attuali, quali quello della solidarietà femminile e dello straniero.
Euripide sviluppa con una chiarezza, che manca in Costabile, le tematiche che affronta. Uno dei motivi di tale differenza può ricercarsi nel numero di personaggi usati nell’uno e nell’altro autore. Enzo procede per sottrazione dal testo di Euripide e tiene nella sua riscrittura solo Medea, Creonte, Giasone e il coro, al contrario in Euripide oltre a questi sono presenti la Nutrice, il Pedagogo, Egeo, il Messaggero e i figli di Medea.
La protagonista della tragedia di Euripide emerge nella sua femminilità per contrasto con altri personaggi con i quali tuttavia intrattiene brevi dialoghi. Largo spazio ha il tema dell’amore nella vita coniugale e a fianco a questo è trattato quello della sessualità e della sottomissione della donna rispetto al marito. Nell’affrontare questi argomenti non si ricorre ad un linguaggio colorito e la semplicità con cui sono costruite le battute ad essi relativi fa si che possano essere pensate come realizzate in epoca contemporanea. È sempre attraverso il personaggio femminile che viene affrontato un tema universale come l’esilio che potrebbe toccare tutti indistintamente, uomini e donne.
Euripide dà largo spazio ai monologhi di Medea tuttavia l’importanza che attribuisce a questo personaggio vuole essere più di carattere sociale che di introspezione. Nel testo di Euripide i dialoghi che Medea intrattiene con altri personaggi, seppur sempre secondari, mettono in rilievo il carattere corale della tragedia e hanno la funzione di spezzare i lunghi monologhi della protagonista.
L’attualità della tragedia euripidea è evidente anche grazie all’uso di un linguaggio semplice e quotidiano, cosa che è quasi assente nel testo di Enzo che adotta un linguaggio più poetico.
Sebbene ricca di temi e spunti di riflessione, il pubblico di oggi avrebbe non poche difficoltà nel seguire la messa in scena della tragedia euripidea in quanto, oltre a presentarsi statica nei tempi e luoghi dell’azione, presenta anche un testo drammatico molto lungo.
La tematica principale su cui ruota l’opera di Enzo Costabile è la visione.
Nel lavoro di Enzo e Massimo Costabile non va dimenticato che prima della riscrittura del testo drammatico nasce la scelta dell’interprete di Medea, Antonella Carbone. È una decisione di non poco conto dal momento che l’intera opera ruota su questo personaggio ed è la bravura dell’attrice a far si che lo spettacolo possa essere seguito con un’alta tensione emotiva. Questa presa di posizione, primaria rispetto a tutte le altre, permette sia al drammaturgo che al regista di mettere in luce ciò che sta loro a cuore: evidenziare le contraddizioni presenti nell’essere umano e affrontare in maniera sottile il tema politico.
Il resto dei personaggi presenti sulla scena rafforzano la stessa Medea attribuendole una vita psichica complessa e rendendola, in questo modo, molto più umana. Il travaglio della donna, oltre ad essere accentuato dai movimenti della stessa sulla scena, è reso grazie all’utilizzo di un coro che altro non è che un doppio di Medea. Il coro stesso inoltre, recita nella maggior parte dei casi spostandosi su alti pannelli scenografici, e ciò contribuisce a rendere più dinamica, ma allo stesso tempo più tragica, la rappresentazione.
Enzo e Massimo concentrano tutte le forze su un personaggio femminile il quale, nella sua rabbia, mostra comunque la sua solitudine. Viene superata la consueta scelta di trattare la donna Medea come rappresentante della femminilità del XX secolo ma è eletta come emblema dell’essere umano debole, sottomesso al potere e alla ricchezza.
Una riscrittura singolare del personaggio Medea che nella brevità del testo drammatico riesce a coinvolgere il pubblico. La cosa interessante del lavoro di Enzo e Massimo Costabile è la stretta collaborazione degli stessi tant’è che il regista interviene con costanza sul testo drammatico di Enzo. L’intera tragedia si regge proprio perché il lavoro di comunione tra drammaturgo e regista è andato a buon fine, in mancanza di tale sinergia non si sarebbe ottenuto un simile risultato nella rappresentazione.
L’intensità dei monologhi della Medea di Costabile e la loro bellezza derivano dall’utilizzo di un linguaggio molto più ricco, rispetto a quello adottato da Euripide, di suggestioni e più ricercato. La particolarità del lavoro di Enzo e Massimo Costabile, oltre alla scelta di puntare tutto sull’interprete femminile, è quella di amplificare la bravura dell’attrice grazie a questo tipo di linguaggio.
Come nella tragedia euripidea, Enzo e Massimo non affidano ad alcuna attrice l’interpretazione dell’altro personaggio femminile, quello di Creusa. Ciò rafforza il personaggio Medea che non ha rivali sulla scena. Il potere materiale e le ricchezze della figlia di Creonte hanno un minore impatto sul pubblico al quale il personaggio viene solo descritto.
Giovane e vanitosa sono i tratti che distinguono la figlia di Creonte sia in Euripide che in Costabile, allo stesso modo sia nell’uno che nell’altro testo viene messo in risalto come la figura paterna cerca di strappare la figlia delle braccia della morte. La differenza nei due testi è da ricercare sostanzialmente in colui che racconta la morte della principessa di Corinto: il servo di Giasone in Euripide e Creonte in Enzo Costabile.
Riproporre un testo classico snellendo la struttura dei personaggi secondari e rafforzando il personaggio principale, così anche da ridurre notevolmente rispetto ad Euripide la lunghezza del testo drammatico, può dirsi un tentativo ben riuscito per Enzo e Massimo Costabile perché mostra sulla scena un lavoro di insieme tra drammaturgo, regista e attrice principale, come il risultato di una alchimia perfetta di tutti e tre i soggetti.