Regie Massimo Costabile

CANI RANDAGI

dal racconto di Akutagawa "Nel bosco"

drammaturgia Franco Dionesalvi

CANI RANDAGI accade in un ambiguo "villaggio" dell’emarginazione, sul finire del secondo millennio, punto di ritrovo di una particolare giungla umana, composta da giovani barboni, prostitute, ubriachi, filosofi, tossicodipendenti.... Sullo sfondo di questo catacombale scenario metropolitano, metafora vivente dello scarto congenito della società post-industriale e della gratuità ineffabile di ogni esistenza, laboratorio nichilista di ritualità dissanguate eppure sopravvissute e di voli celesti, tre personaggi si raccontano la "vicenda", l’episodio misterioso che è oggetto della rappresentazione: un uomo è stato ucciso. Così facendo cedono la scena ai tre protagonisti che danno ciascuno la propria versione del fatto, tutte esistenti nella ricostruzione scenica e insieme inconciliabili a livello di pensiero.
In ogni narrazione cambiano le motivazioni psicologiche delle azioni, il movente e l’autore dell’omicidio.
Lungi dal fornire una soluzione chiarificatrice, si lascia allo spettatore ogni possibilità di scelta: ogni confessione è ugualmente credibile e nello stesso tempo non credibile, lì sulla scena così come da voi, nella vita. Ma rimane anche il dubbio che ciò che è stato raccontato non sia realtà, ma solo un "gioco", che i tre narratori sogliono proporsi durante la notte, aspettando che il sole risorga. Senza nulla sapere su quali sembianze, questo sole di domani, mostrerà.
Progetto e regia Massimo Costabile
Interpreti Antonella Carbone, Massimo Costabile, Domenico Cucinotta
Dario Natale, Lindo Nudo, Patrizia Rizzo
Install.ne Scenica Salvatore Anelli, Franco Flaccavento
Costumi Antonella Carbone
Disegno Luci Paolo Carbone
Video Wesson e Boyle
Foto di scena Francesco De Rose
Produzione Centro R.A.T. - Teatro dell'Acquario - 1992
Estratti dalla Rassegna Stampa
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CANI RANDAGI
Sipario   (ottobre 1993)

"...La vicenda diventa una specie di giallo ... rovesciato, con addirittura tre rei confessi dello stesso omicidio: un bandito, una donna e il marito di costei tutti in primo piano quando ricostruiscono il delitto di cui sarebbero i protagonisti e lasciati, viceversa nell'ombra allorchè la prostituta, o il drogato, o il barbone ( i "testimoni" ) avviano il rispettivo racconto. La verità non verrà fuori giacchè le evocazioni di costoro - si scopre - sono soltanto un diversivo, un espediente per far scorrere le ore vuote e allucinate della notte, un modo per sentirsi ancora vivi. ( "Forse non c'è alcun morto, da nessuna parte." ) ...Testo da collocare fra i buoni esempi di "teatro di poesia", al quale i due autori sembrano particolarmente versati (dopo le analoghe operazioni sul Woyzeck di Buchner e Yerma di F.G.Lorca ) basato su un linguaggio aperto ad ogni lettura pur in presenza di situazioni drammaticamente intense..."(Antonio Garro)


Tribuna Sud Italia (luglio 1992
)

"...In Cani Randagi si agita una moltitudine di doppi, calati in un ambiente che guarda, con molta precisione, alla linea Dante-Baudelaire-Genet e si dispone con agio nel suo solco. E il doppio agita con furore questa rappresentazione. Il testo vede sovrapporsi perfettamente due mondi : quello dove avviene il factum e l'altro in cui, coreuticamente, lo si commenta . In questo senso mi sembra utile sottolineare il notevole senso del ritmo della compagnia attoriale e il puntuale lavoro di regia, nel collegamento di momenti scenicamente così differenti ..."


Oggi Famiglia    (maggio 1992
)

"..Cani Randagi è pièce che contraddice esemplarmente alle tre unità aristoteliche dell'unità di tempo, azione e luogo in quanto si fonda su una palese scomposizione sia sul piano spazio-temporale che su quella sequenziale della sceneggiatura. Attraverso numerose ritorsioni della memoria si raggrumano sul cadavere di un uomo, "verità relative", che richiamano più Pirandello che il giappone dei Samurai.... Lo spettacolo risulta illuminato ed illuminante, pur nel catacombale ed oscuro evolversi della trama, divisa nelle varie versioni dell'assassinio, inconciliabili e trine ma une, anzi una sul piano più squisitamente teatrale."


Giornale di Sicilia   (03/04/93)

"...L'ucciso, la moglie, il bandito e i tre che raccontano la vicenda, la prostituta, il barbone, il drogato sono degli emarginati. Rappresentano un " Finale di partita " epocale nel quale ai filosofemi e alle "cerebralità " del teatro borghese si sono sostituite le allucinate e frammentarie riflessioni dei reietti che non hanno più parole tranne che i disarticolati suoni dei loro istinti e la teatralità della loro vuota esistenza.....Emerge la congruente installazione scenica che nell'inquietante atmosfera scenica creata dalle luci, consente agli attori di eseguire le sequenze dell'azione rilevando psicologicamente i personaggi nei loro differenti ritmi gestuali e fonici ben sintonizzati con la controllata recitazione che sa smussare certe truculenze verbali del testo e intervallare, nei misteriosi silenzi musicali, la visionarietà luministica di notevole espressività. " (Piero Longo)


Calabria Fuori Campo   (03/04/93
)

"...Cani Randagi trasferisce l'azione in un contesto diverso da quello di Akutagawa, quello metropolitano dei giorni nostri o anche dopo, in un universo popolato di varia umanità, ma che ha nel disagio, nell'emarginazione, nel non sapere dove andare, il suo denominatore comune.... Facendo leva sulle psicologie dei personaggi e riprendendo il tema della verità relativa, tanto caro a Pirandello, il testo di Dionesalvi e il progetto di Costabile diventano parti di un'operazione ambiziosa sì, ma alla fine riuscita, di trasposizione scenica della novella e del film giapponese. A far funzionare lo spettacolo concorrono l'attenta regia dello stesso Costabile e il manipolo di giovani attori...."( G.D.D.)


La Gazzetta del Mezzogiorno    (22/03/93)

"...Lo spettacolo è impostato da un lato come un'installazione scenico-visiva di forte impatto materico, dall'altro come cupa "discesa agli inferi" per una condizione umana di fine millennio, la cui campionatura simbolica-convenzionale viene esibita in tutta la sua esteriore fisicità. Tra le parti scure di una realtà sotterranea di ordinaria emarginazione metropolitana si agitano larve fin troppo riconoscibili, parlanti il loro furente linguaggio di violenza: alcolizzati, drogati, prostitute con autonome schegge di gestualità e con vissuti individuali fortemente esibiti, rapporti di dialogo frammentati, tentativi di sublimazione che il lirismo "al nero" del testo coniuga, nella regia di Massimo Costabile, a trame ora accellerate spasmodicamente, ora rallentate in inerzie microgestuali. (Pasquale Bellini)

 

 

 

INSTALLAZIONE SCENOGRAFICA
di
Salvatore Anelli  e  Franco Flaccavento

materiali di recupero e cantiere in allestimento

messinscena : installazione - cani randagi

particolari della messinscena di cani randagi