La cecità:
centro dell'"Edipo re" del regista Massimo Costabile.
Lo spettacolo, in scena all'Acquario per la Compagnia La
Linea Sottile (Centro R.A.T.},si presenta allo spettatore
in una veste scenica volutamente statica mentre gioca interamente
sulla Parola. Il movimento è allora dialogico/dialettico,
sta nello scontro che non è mai incontro delle parole
che si caricano e ricaricano dapprima di valenze allusive
e possibilistiche fino ad esplodere letteralmente con tutta
la loro carica "pietrosa" ( le "parole sono
pietre"). “Date un nome alle cose” è,
del resto, uno degli imperativi di ogni percorso psicoanalitico
che abbia senso ma è, pur vero, che a tale input
categorico si può soggiacere. E in questo cerchio,
che stritola, finisce il personaggio di Edipo. Interpretato
bene da Luigi lacuzio, Edipo funziona quindi scenicamente
come forza centripeta che trascina tutto nel suo centro
quasi lo spettatore assistesse ad un fiume di massi e arenaria
che va dritto a sbattergli addosso, un'esondazione senza
speranza di salvezza che si fa cecità ed eterna tenebra.
La parola è inevitabilmente conoscenza, disvelamento
di spettri, e, prima di Edipo, la sente a pelle chi guarda
il baratro in cui si sta per cadere. In questa prospettiva
di rilettura,l' "Edipo re" di Costabile vive tutto
in una dimensione interiore e, di conseguenza, i luoghi
scenici ( la città di Tebe di cui Edipo è
re) non sono viventi per se ma come satelliti del personaggio
e si avvolgono come spire intorno alla sua gola. La sensazione
è quella di una claustrofobia permanente eppure non
si potrebbe pensare ad un Edipo non arso dal desiderio di
sapere. Se volessimo adoperare un'espressione di Carlo Ginzbutg
a proposito del romanzo poliziesco, potremmo parlare di
"paradigma indiziario"; Edipo, detective ante
litteram, affastella indizi e ne costruisce un paradigma.
Di conseguenza, come già i luoghi, anche i personaggi
servono come espedienti per smascherare il colpevole, quasi
fossero dei testimoni che |
portano, ciascuno, il loro
pezzetto di verità mentre lo spettatore li osserva
percorsi da una corrente elettrica e da tremori perché,
pur non sapendo, percepiscono la drammaticità dell'assunto.
Edipo è, dunque, un personaggio solo, vittima di
se stesso. Nemmeno le parole dell'indovino Tiresia, lo
interpreta il bravo Giovanni Turco, che lo invitano a
fermarsi nello spasmodica ricerca del vero valgono a qualcosa;
eppure gli indovini sono da sempre uomini avvolti da alone
divino e ciò, dunque, denota una sorta di sacrilegio
nel re di Tebe e l'inevitabile punizione che lo attende.
Nemmeno Giocasta ( ne veste i panni Antonella Carbone),
ora moglie ma già madre di Edipo, può nulla
ed è da lei che i fili si riavvolgono con tutto
l'orrore che hanno alle spalle. Mentre in scena strisciano
ombre che, volendo ancora stare nei sentieri psicoanalitici,
sembrano i fantasmi del rimosso che stanno per salire
a galla. Il percorso c'è tutto, la tragedia anche.
Ma anche il fascino senza tempo che ha fatto di Edipo
un personaggio emblematico che si è eternato attraverso
un'eroicità conflittuale, quella stessa che ha
portato Ulisse e i suoi compagni a spingersi oltre le
colonne d 'Ercole ("fatti non foste a viver come
bruti, ma per seguir virtute e conoscenza", così
Dante nel canto XXVI dell'Inferno) per conoscere cosa
ci fosse oltre; così Edipo che arriverà
a riconoscere se stesso come assassino del suo predecessore,
nonché padre, e sposo di sua madre. Primo parricida
della storia, di lui si è impadronito un immaginario
collettivo, e la psicoanalisi che ne ha ricavato il famoso
complesso con cui si spiega la conflittualità del
figlio verso il padre. Edipo è, gli altri non sono.
Costabile lo fa giganteggiare in scena e lo rende indelebile
come è giusto che sia.Bravi tutti gli attori. In
scena insieme a Iacuzio, Carbone e Turco, Marco Silani,
Carla Serino, Marisa Casciaro, Monica Rovito, Antonella
Chiappetta, Vanessa Costabile, Matteo Costabile.
Antonietta
Cozza
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