EDIPO RE


Giovedì 16 febbraio 2006

La cecità: centro dell'"Edipo re" del regista Massimo Costabile. Lo spettacolo, in scena all'Acquario per la Compagnia La Linea Sottile (Centro R.A.T.},si presenta allo spettatore in una veste scenica volutamente statica mentre gioca interamente sulla Parola. Il movimento è allora dialogico/dialettico, sta nello scontro che non è mai incontro delle parole che si caricano e ricaricano dapprima di valenze allusive e possibilistiche fino ad esplodere letteralmente con tutta la loro carica "pietrosa" ( le "parole sono pietre"). “Date un nome alle cose” è, del resto, uno degli imperativi di ogni percorso psicoanalitico che abbia senso ma è, pur vero, che a tale input categorico si può soggiacere. E in questo cerchio, che stritola, finisce il personaggio di Edipo. Interpretato bene da Luigi lacuzio, Edipo funziona quindi scenicamente come forza centripeta che trascina tutto nel suo centro quasi lo spettatore assistesse ad un fiume di massi e arenaria che va dritto a sbattergli addosso, un'esondazione senza speranza di salvezza che si fa cecità ed eterna tenebra. La parola è inevitabilmente conoscenza, disvelamento di spettri, e, prima di Edipo, la sente a pelle chi guarda il baratro in cui si sta per cadere. In questa prospettiva di rilettura,l' "Edipo re" di Costabile vive tutto in una dimensione interiore e, di conseguenza, i luoghi scenici ( la città di Tebe di cui Edipo è re) non sono viventi per se ma come satelliti del personaggio e si avvolgono come spire intorno alla sua gola. La sensazione è quella di una claustrofobia permanente eppure non si potrebbe pensare ad un Edipo non arso dal desiderio di sapere. Se volessimo adoperare un'espressione di Carlo Ginzbutg a proposito del romanzo poliziesco, potremmo parlare di "paradigma indiziario"; Edipo, detective ante litteram, affastella indizi e ne costruisce un paradigma. Di conseguenza, come già i luoghi, anche i personaggi servono come espedienti per smascherare il colpevole, quasi fossero dei testimoni che

portano, ciascuno, il loro pezzetto di verità mentre lo spettatore li osserva percorsi da una corrente elettrica e da tremori perché, pur non sapendo, percepiscono la drammaticità dell'assunto. Edipo è, dunque, un personaggio solo, vittima di se stesso. Nemmeno le parole dell'indovino Tiresia, lo interpreta il bravo Giovanni Turco, che lo invitano a fermarsi nello spasmodica ricerca del vero valgono a qualcosa; eppure gli indovini sono da sempre uomini avvolti da alone divino e ciò, dunque, denota una sorta di sacrilegio nel re di Tebe e l'inevitabile punizione che lo attende. Nemmeno Giocasta ( ne veste i panni Antonella Carbone), ora moglie ma già madre di Edipo, può nulla ed è da lei che i fili si riavvolgono con tutto l'orrore che hanno alle spalle. Mentre in scena strisciano ombre che, volendo ancora stare nei sentieri psicoanalitici, sembrano i fantasmi del rimosso che stanno per salire a galla. Il percorso c'è tutto, la tragedia anche. Ma anche il fascino senza tempo che ha fatto di Edipo un personaggio emblematico che si è eternato attraverso un'eroicità conflittuale, quella stessa che ha portato Ulisse e i suoi compagni a spingersi oltre le colonne d 'Ercole ("fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza", così Dante nel canto XXVI dell'Inferno) per conoscere cosa ci fosse oltre; così Edipo che arriverà a riconoscere se stesso come assassino del suo predecessore, nonché padre, e sposo di sua madre. Primo parricida della storia, di lui si è impadronito un immaginario collettivo, e la psicoanalisi che ne ha ricavato il famoso complesso con cui si spiega la conflittualità del figlio verso il padre. Edipo è, gli altri non sono. Costabile lo fa giganteggiare in scena e lo rende indelebile come è giusto che sia.Bravi tutti gli attori. In scena insieme a Iacuzio, Carbone e Turco, Marco Silani, Carla Serino, Marisa Casciaro, Monica Rovito, Antonella Chiappetta, Vanessa Costabile, Matteo Costabile.

Antonietta Cozza