Compagnia Teatrale Lalineasottile
Attivita' di produzione


All’interno della poesia calabrese si vuole tracciare un percorso che segni e rintracci il filo di una “poesia civile”, intesa come testimonianza, come grido di dolore e di speranza. I poeti calabresi hanno usato stili diversi, appartengono a correnti e risentono influssi fra i più disparati, sono in sostanza cittadini del mondo, per cui parlare di una corrente poetica calabrese rappresenterebbe una inutile forzatura. Fra le poesie e gli autori scelti si è cercato di trovare un filo comune.E’ il modo in cui i poeti vedono l’ambiente circostante, il mondo esterno, la terra, e dunque la Calabria.
Lungo questo filo scattano le differenze. In Franco Costabile è denuncia civile, urlo di dolore. In Lorenzo Calogero è percezione visionaria, sguardo surreale. In Enzo Costabile è visione notturna, carica di misteri e presagi. In Angelo Fasano è tentativo di comprensione. In Raffaele De Luca è allucinazione, sogno. In Marisa Righetti è la città, la dimensione urbana. In Franco Dionesalvi è il post-moderno, la contaminazione
Regia Massimo Costabile
Interpreti

attori
Antonella Carbone
, Stefania De Cola, Luigi Iacuzio,
Laura Marchianò, Marco Silani

danzatrice
Vanessa Costabile

musicisti
Mario Artese, Franco Caccuri, Piero Gallina,
Enzo Naccarato, Checco Pallone

Coreografie Sonia Nifosi
Video Fabio Rao
Consulenza Poetica Franco Dionesalvi
Disegno Luci Mario Giordano
Tecnico del suono Vladimir Costabile
Fonico Matteo Costabile
Anno 2008

Estratti dalla Rassegna Stampa
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Calabria Ora 02/12/08
IL CAOS E LA POESIA GENERANO STELLE DANZANTI
di Giorgio Franco

Domenica 30 per il Piccolo Teatro di Castiglione Cosentino Massimo Costabile ha curato la regia di uno spettacolo che definire recital di poesie sarebbe riduttìvo. E le stelle stanno a guardare ne era il titolo e i poeti antologizzati erano Franco Costabile, Lorenzo Calogero, Enzo Costabile, Angelo Fasano, Raffaele De Luca, Marisa Righetti, Franco Dionesalvi. Il regista ha previsto la presenza di musicisti e di un cantante, con la funzione di aggiungere ai messaggi proposti forme linguistiche ulteriori, che non fungessero da accompagnatrici o aspirassero a surrogare ciò che già i testi dicevano. Contribuiva al tutto la figura di una danzatrice, chiamata anch'essa a scoprire un altro codice interpretativo nell'uso del testo, negandosi, però, qualsiasi dimensione accessoria e complementare.   (continua)

Il Quotidiano della Calabria 02/12/08
Malinconico spettacolo di Lineasottile
QUELLA CALABRIA RACCONTATA IN VERSI

di Alessandro Chiappetta

C'È tutto un mondo fatto di fatica e sudore. Di malinconia. C'è tutta la rabbia, tutta la delusione accumulata in secoli di storia per non essere padroni del proprio destino. Il viaggio nella poesia calabrese messo in scena dalla compagnia Lalineasottile al Piccolo Teatro di Castiglione Cosentino, ha messo il dito nelle piaghe di tante ferite della nostra regione, per come le hanno raccontate poeti come Franco Costabile e Lorenzo Calogero, Raffaele De Luca e Marisa Righetti. Versi che hanno preso vita con le voci di Antonella Carbone, Stefania De Cola, Luigi lacuzio, Laura Marchianò e Marco Silani tra i quali ha danzato con leggerezza Vanessa Costabile.      (continua)



Percorso Poetico

Vruscia suli
(Enzo Costabile musica Mario Artese)
Figure immaginarie
(Lorenzo Calogero)
da: Mio Sud
(Franco Costabile)
Libertà di luce
(Raffaele De Luca)
Ultima uva
(Franco Costabile)
Nel gioco del mondo
(Raffaele De Luca)
Paesaggio duro
(Lorenzo Calogero)
Sud
(Marisa Righetti)
Perchè se fosse
(Enzo Costabile)
Città vecchia
(Marisa Righetti)
Il dono della morte
(Raffaele De Luca)
La meraviglia
(Angelo Fasano)
Jumi
(Enzo Costabile musica M. Artese, G. Pallone)
Il viaggiatore
(Enzo Costabile)
Forgia
(Enzo Costabile musica M. Artese, F. Pallone)
 

VRUSCIA SULI

Ammarra ammarra i turchi su' arrivati
sona u tammurru a luna s'è ammucciata
ammuccia tuttu chiuda a mascatura
strazza u velu gnuciati a paura
portati appriessu u pani e ru furcuni
jettati 'nterra cumu a nu cursuni
mintati a curra primavera vuddra
gnucia ammola uorvica fa giobbi
ammola i denti vida ca s'ammoddra
c'é tiempu sulu ppi chiantari
nun ti fa minta fierri ne' capizza
guardati a manu dorma 'mpizzu 'mpizzu
mintati a curra primavera vuddra
vruscia suli, arda tuttu
spagna vruscia
vruscia i petri
fatti jumi

ammola ammola i turchi su arrivati
nun perda tiempu sarvati a mappata
a raggia è cumu l'acqua e cumu u pani
nun ti fa mora i friddu fa campari
portati appriessu a raggia nun t'ha scurdari
ca senza raggia nun c'é nenti i fari
mintati a curra primavera vuddra
ti tena sbigliu cientu e cchiù nuttate
canta ccu l'atri nun ti fa accitari
nun c'é cosa cchiù bella di cantari
portati u vinu saglia a ra muntagna
u vinu russu chiru ca nun quaglia
mintati a curra primavera vuddra
L'aria
para ra vucca di na vampa
U iatu
na vrazzata di tizzuni

Mio Sud
Mio sud,
mezzogiorno
potente di cicale,
sembra una leggenda
che vi siano
torrenti a primavera.

Mio sud,
inverno mio caldo
come latte di capre,
già si dorme
fratello e sorella
senza più gusto.

Mio sud,
pianura mia,
mia carretta lenta.
Anime di emigranti
vengono la notte a piangere
sotto gli ulivi,

e domani alle nove
il sole già brucia,
i passeri
a mezz'ora di cammino
non hanno più niente da cantare.

Mio sud,
mio brigante sanguigno,
portami notizie della collina.
Siedi, bevi un altro bicchiere
e raccontami del vento di quest'anno.

ULTIMA UVA

Che volete, che volete ancora da questa terra.
Vi paga il canto del gallo bimestre per bimestre,
paga il sale come se fosse argento,
paga l'erba l'origano, vi paga anche la luna nuova.
Che volete di più, ditelo e lo farà, ma lasciatela, lasciatela in pace.
E' così stanca di sentirsi ripetere il pane l'albero il barile dell'abbondanza,
e di aspettare, di aspettare, aspettare...
Prendetevi l'ultima uva ma non tormentatela col patto degli acquedotti.
Prendetevi anche la madia il setaccio
ma rispettatela almeno nell'estrema unzione dei suoi uliveti.
Ha veduto i suoi figli morire di dissenteria, partire da emigranti,
andare ammanettati.
Ha veduto contare dal regio scrivano tutte le sue pecore una per una.


Ha veduto posare casse di munizioni nei campi di granturco
e bruciare le masserie le case.
Adesso lasciatela, lasciatela sola al confine delle sue foglie.
Quanti anni di sole ci son voluti per capiretanta oscurità,
tanto disordine di franee di vicoli,
e poi l’ordine, l’ordine dei carabinieri.
Lasciatela.
Un'amicizia in tanti anni, un affetto sincero non l'ha mai avuto.
Mai nessuno che un giorno al balcon e le abbia parlato di un vestito
di un bei paio di scarpe,
le abbia spiegato in confidenza come si prepara una tavola,
qui il coltello, qua il cucchiaio, la forchetta.
Lasciatela.
Con una brocca o un bicchiere di cristallo berrà sempre
al pozzo del suo dolore.
Anche voi così lontani ma del suo stesso sangue
della sua stessa razza accanita,
smettetela con le nostalgie, non mortificatela
con quel dollaro spaccone in una busta,
con quel pacco di vestiti usati.
Le basta lo scialle nero che vi coprì bambini.
Che volete, voi, voi tutti, che volete di più.
Ditelo, vi ha sempre detto di sì, non sapeva firmare
e vi ha messo i segni di croce che tutti volevate.
Prendetevi allegria e gioventù e seppellitele in una miniera.
E' carne, vita sua ma forte, cresciuta con latte e disgrazie.
Prendetevi anche il cielo
questo azzurro così antico così raro
portatevelo via.
Lasciatela

 

PAESAGGIO DURO

Paesaggio duro
come le primitive abitazioni
dei popoli della culla.
Alberi che si piegano per incanto
sulle loro radici
come a far scomparire la loro ombra,
calici che si piegano in un punto
quasi volessero assaporare
il trionfo della lor morte,
ampi densi segreti
che trascorrono le cime degli alberi.
Si compiono miti arcani,
testimoni le stelle
che appariranno sul tramonto.
Approvigionano erbe
che sanno di morti, di visioni
non liete uomini adunchi
chini sulle loro ombre
di cui non può riconoscersi
il lor simulacro umano.
La via si stende inerte
per orizzonti infiniti
desiderosa di ricongiungersi
con le stelle, con gli infiniti campi
che abitano oltre di questa terra
in solitudine infinita.
La voce di morte trascorre in ogni cosa
e non ha confine, relegata
nel fondo delle nostre passioni.
Questa vita si spegne pian piano
sino a sparire come un oracolo,
un ultimo orizzonte.
Denso sacrificio
ch'oggi soffre la terra!
Oggi e sempre.
Miracolo de' colli la rischiara.
Non si sa quale sia l'inizio,
quale sia la fine.
La sua rinnovata apparenza
ritorna sempre.

 

 

S'E' MAI VISTO IL SOLE CHE NON SI E' LEVATO


S'è mai visto il sole che non si è levato
O l'ordine delle stelle confuso
O il mare impennato
contro la vetta della montagna
S'è visto l'albero
Che assorbe veleno
e rimanda aria buona
Da respirare
Questo è il volto pietoso della natura.
Qui è tutto un mistero
Ma noi ci fidiamo e se siamo insieme
Mai disperiamo.

 

 

PERCHE' SE FOSSE

Perché se fosse
Perché se fosse un colore sarebbe rosso
e se fosse una linea sarebbe l'orizzonte
perché se fosse un'arma sarebbe il silenzio
e se fosse un'occasione sarebbe la fuga
perché se fosse un segreto sarebbe una promessa
e se fosse un nodo sarebbe il dolore
perché se fosse una speranza sarebbe il ritorno
e se fosse di notte sarebbe un vantaggio
perché se fosse una pietra arderebbe
e se fosse una festa sarebbe il vino
perché se fosse una scommessa sarebbe un sogno
e se fosse una donna avrebbe gli occhi gentili
perché se fosse una domanda sarebbe "quando"?
e se fosse una risposta "mai più"
ma è solo una ferita infetta
un nido di aquile cieche
un vecchio che guarda la luna
un grande albero ossuto
sull'orlo del precipizio.


IL DONO DELLE MORTE

Quella sera tornasti
alla vecchia casa
lì, nel tappeto dei sogni
nella stanza della dimenticanza.
Forse i vampiri
avevano riempito di coriandoli
le ragnatele
forse di uva matura
le botti
le botti dei tuoi bambini.
Vedesti allora il cammello giallo
con le ruote rosse
ricordasti i giochi innocenti
il tappeto dell'erba bambina
era ricoperto di muffa
le piantine avevano germogliato fiori
i fiori che ancora l'anno prima
la nonna curava
forse fu irrazionale emozione
o consapevole saggezza
capisti allora
come il tempo è una ruota
e noi ne siamo il centro
rivedesti ancora
il volto dei tuoi cari
sorriderti, lievi
non più eroi, non più santi
non più scimmie
vedesti in quelle finestre
in quel cemento in quel cielo
il volto benigno-maligno
del Dio degli eserciti
del dio della terra
che ancora una volta, per te
rinnovava il miracolo
forse ti mancò il cuore
forse ti commuovesti,
forse ti chiedesti se tutto ciò
fosse buono.

 


JUMI
Vulissa essa nu jumi di muntagna
ppi ti linghiari d'acqua ogni stagiuni
vinissadi ogni notti ccu ra luna
a mi curcà ccu ttia cori i limuni
Vulissa essa nu truonu i malutiempu
ppi ti mbunnari d'acqua n'finu all'ossa
ppi ti linghiari i gucci ogni capidrru
T'allisciassi ri spaddri ccu ra vucca
e ti spannerra di meli e di cirasa
fina a quannu nun finiscia ogni jatu
E minni ijssa sulu ara matina
dopu avi spisu cientu e cchiù canzuni

Nel silenzio si combatte ogni fatica
Nel silenzio si combatte ogni fatica
perigliosa all'anima inumana.
Un soffio di vento mi affatica
col potere di una forza di fiumana.
Mentre tacito scrivo e penso e medito
e guardo nell'anima mia che sente
una potenza d'abisso, un canto inedito
come un sibilo tumultuosamente,
vedo nel vuoto pallidi sfilare
ogni tormento, ogni idea repressa
e misuro la gioia inespressa
che tutto mi fa pallido vibrare.
Penso e medito come una volta
lontanissima nei tempi sepolti
piani scoscesi pieni di molta
tristezza sui chini pallidi volti.
I cieli aggiornavano nella luce
mattutina su piani sconvolti
ed era come se un viso torbido e truce
risplendesse come ricordi sepolti.
Nell'infinità triste del ricordo
splendevano verità ignote.
Un dolce tacito accordo
insinuava malinconie e note.
I pallidi cieli si copersero a un tratto
come un incubo sotterraneo
spaventoso ed il mio viso disfatto
vide il mondo diradarsi subitaneo.

 

 

FIGURE IMMAGINARIE

Figure immaginarie
che germina l'anima
per vederle partire
in un mare di sogno.
Siamo legati alla vita
da sottilissime vene
come ad un mare pauroso
che sempre abbuisce.
Ci levighiamo colla speranza sottile
di conoscere le cose a fondo,
di traghettare sulle nostre spalle
l'ombra della nostra morte
sull'altra riva
ed essere così
immutabili ed eterni
al livello desiderato.

 

 

LIBERTA' DI LUCE

Lo so che forse sparirai
o non sei mai stata
libertà di luce
sono queste tue mani, gli occhi
libertà quando essi vanno
ai loro sognati deserti
ai giorni opachi, alle sere
e le sere gli danno
sorrisi dimenticati, sogni di stelle
e le sere gli danno
odore di foglie, di terra
guarda come essi vanno
al loro quieto abbrivio
loro, sorrisi
freschi voli, levità
tenere lacrime, falchi, urla
e così, ora, noi, loro
assieme
nella sera che scende
in questo tuo albergo di foglie
cara, più forte dei deserti
delle lacrime
oltre le libellule che, quiete
vanno al loro nulla
vanno ai colori
ai quieti respiri, ai sognati sogni.

 

 


NEL GIOCO DEL MONDO

Fu dove il tessuto del Nulla
si increspava
lui scendeva quieto al suo niente
sentì, allora
come un fremito sulla pelle
sul cuore
si, non un amore
un sogno, una vittoria
solo questo strepitio
questa quieta voce
che inondava l'alba del mondo.
Capì allora come tutto scendeva
oltre i sorrisi, le lacrime
oltre quel quieto gridare, quel freddo
come tutto scendeva
nel mare dell'attimo,
del Sempre:
aprì allora le mani
e fu quell'urlo, quella lentezza
aprì le mani e fu tutto, tutti
si, lui, povero
oltre le smorfie del presente
il tappeto degli anni
fa tutti gli uomini
gli alberi, i sorrisi, le lacrime
fu quel quieto infinito
che piano scendeva
in quella sera di tutti
lì, nel gioco del mondo.

LA RICERCA DELLA PIETRA FILOSOFALE

All'inizio proiettai le linee della tua mano
sulla parete di aghi di diamante della miniera
e ciò mi rese possibile la scoperta
del pozzo dei segreti
che ha pareti lisce appena intonacate.
Chi vi discende
fa l'esperienza di correre nell'aria
perdendo ogni coscienza del suo corpo.
Raccolsi cinque tulipani neri
ho raggiunto la cima della montagna:
vi traccio ora i cerchi delle mie orecchie
offrirò nell'incavo i tulipani
confidando
che lo spirito evochi la sua esistenza

Quella finestra
schiude su muri di graffiato verde
lì mi trasformo di notte in un lenzuolo
avvolgo i corpi degli oggetti
mi stendo sulle anime degli elementi
a dar loro un alone di vita.
Qui l'armadio socchiuso di rovere grigio
ha il richiamo
del mammut nella foresta imballata
quando il fiato fra le foglie era paura.
Svellete i mattoni imbalsamati,
sventrate il lampadario fin de siècle,
scuoiate il baule della zia degli argenti,
senz'altro salterà fuori
lo scrigno.

E cieli mi impedivano il passaggio
al pugno divampante del più nulla.
Sulla carta rappresa di montagna
strisciava la pupilla dilatata:
vi vidi un uomo che estirpava con le mani
brandelli della sua carne grumi del suo cervello
li scagliava sulla neve perforavano la corteccia
sprofondavano gemendo fumando;
lui stava in ascolto della vertigine del mondo,
quindi ho perso conoscenza.

 

 

SUD

Sud
vicoli stretti
strade senza uscita
passi
che arrivano in fondo
stanchi tornano indietro
rumori e voci televisori accesi
e lontano
silenzi
di altre strade larghe
che prima o poi
ci porteranno via

 

 


CITTA' VECCHIA

Città vecchia
Miseria
Grande madre
Nel suo cuore di cattedrale
Entrano vecchi
Vecchi pazzi
e vecchie signore
Bambini innamorati di spazio
Che entrano e scappano via
dalla porta minore.
Vecchi sul ponte
Raccontano il segreto
Del re sepolto dalle acque.
Mattinate tristi, piovose.
Al mercato colori di frutta
grida di venditori.
In via dei facchini
dietro i binari
Volano sberle
Pesanti come mazzate.
Città vecchia
Miseria
Grande madre.
Uomini
rattrappiti su lambrette
Cicche che non si spengono
Fra dita marrone.


LA MERAVIGLIA

La meraviglia è quella d’esser vivo, stare seduto e dire
che quella notte tutto accade (anch’io
ho ceduto e se il tempo ti ha cambiato
può decidere di me: circondarmi e sconfiggermi).
Sguardo monello, guardami,
Non sopportare un’altra impostura ( o io, o tu,
noi siamo oggetti
testimoni di qualcosa ch’è più in là;
a poco a poco è quiete, sorge
così il giorno desiderato – giù nella valle
toccavi casa tua). Non fermarti, non
dire basta, non smettere di farlo un’altra volta.
“Nelle mani leggo una preghiera (le mani
sono giunte ma non sarò
violento, lo giuro”.
“Non nuocerà il rumore a chi è senza forza”;
no, non c’è motivo che tu o io si vada altrove, non c’è

ragione che io non ti prenda (se rimani, non ti lascerò più andare.

Nell’assenza siamo uguali, non lamentarti più.
Andiamo su e giù per il cortile e
le luci che io vedo
son quelle che tu vedi,
anche se hai detto: “perché
non sei venuto a me?” – anzi, non l’hai
detto ma io so che l’hai detto e pesava
perché non ero venuto a te (non volevo ma è successo).
Non capisco perché dovrei
anticipare il tempo
e andare a ritroso, sporgermi dalla balaustra:
è bello il ferro battuto, continuerò a guardare,
continuerò ad agire, contento:
ti sei tuffato,
ora è lontana l’ombra,
la spuma viene e va e sei felice.
La meraviglia: non ho gioia, non vado,
puoi dirmi quello che vuoi.
La falce di luna rossa cade

ancora giù,
qualche dente spezzato darà un colpo di coda, per voi finto.


Ricordo un pullman.
Tutto era grande – come allo stadio.
Camminava a venti all’ora.
Ero seduto davanti e guardavo le automobili sorpassate.
Eravamo amici. Indovinai numeri e ruoli.

Nel cortile: forse lo stesso
che avremmo ritrovato.
C’erano vetri alti
due metri, e pure alcuni cani.
Dopo andavo in giro in bicicletta: e mi salvò
una vecchia da un balcone.
Mi ritrovai
con una cipolla e un po’ di sale,
ma venni giù, con le mani sporche,
a divorare mastice: “tu che hai
le chiavi per la catena,
tu sai dov’è la rete: dimmi, cosa è mai la meraviglia?”

IL VIAGGIATORE

All'improvviso il velo si squarciò e,
con un fragore di timpani, irruppe la luce.
Calda, impetuosa e accecante.
Mi costrinse a serrare ancora gli occhi.
Il passaggio era stato troppo brusco
e fui, nuovamente, costretto a rincorrere le antiche meridiane
che indicano alle stelle solitarie il cammino dell'alba.
Il volo del falco tagliò l'aria come una sciabolata
e dalla ferita azzurra sgorgarono gocce di rugiada
che s'incastonarono nella roccia come perle.
La luce rigurgitò antiche memorie
e ogni residua resistenza calcarea si frantumò
riempiendo di schegge colorate e folli il letto fiume.
L'acqua intorno a me scorreva gorgogliando
come in una gola assetata.
A tratti delicata come la mano di un bambino
e a volte fragorosa ed incontenibile
come un urlo a lungo trattenuto.
Alzai nuovamente lo sguardo verso il cielo,
attraverso la ferita i colori divampavano
incendiando ogni cosa.
Non c'era niente in grado di contenerli.
Tranne la notte e la morte
che aggrappate e nascoste dentro le rocce lucide e nere
continuavano a tessere il filo buio degli agguati
in cui vittime innocenti ed ignare
soccombono silenziose e predestinate.
L'acqua insinuava messaggi negli anfratti più oscuri
e velava di magiche trasparenze i riverberi.
Come una biscia che scivola sui sassi del guado
in cerca di mosche e di sole
le parole scomparivano una dopo l'altra
rotolando giù per i costoni.
Il silenzio cominciava ad amalgamare grumi
che inghiottivano la voce.
Anche i grilli e i rospi vennero schiacciati sotto il suo peso.
Cominciai a correre in cerca dell'uscita
mentre alle mie spalle rimbombava
il muggito sordo di mille tori infuriati.
I melograni avevano il colore del sorriso delle ragazze
quando hanno pensieri nascosti e dolcissimi.
La grotta sotterranea era piena di echi e di bugie.
Io dovevo trovare il passaggio che porta all'inizio del tempo. Riscoprire la lunga strada dell'eco originaria.
L'impronta del dio che esalta e ferisce a morte i suoi sudditi.
La sorgente primigenia che disseta gli alberi dalle grandi radici.
Il muschio eterno che allevia le ferite e profuma il ricordo.
Allora ripresi a chiamarti con il viso coperto dalla maschera. Sapendo che non c'eri e che non avresti potuto sentire.
Sapendo che ogni maschera nasconde la verità della menzogna suprema.
Della sfida che, come un dardo infuocato, rende ciechi.
La memoria del tempo, del tempo che ti devo e che ti ho dato,
del tempo che ho speso senza risarcimenti e senza resurrezioni.
Una primula aggrappate alla parete incantò
nuovamente la luce e scacciò l'incubo.
I gabbiani ripresero a correre sulla riva del mare.
E il sole sgominò i suoi ultimi e bastardi nemici
chiamando a raccolta gli sciamani
che avevano attraversato la notte ebbri di vino
rievocando incantate magie intorno ai fuochi del bivacco.
Il viaggio era finito.
Ancora una volta, e riprendevo il cammino.

FORGIA

A rota gira gira ammola ri curtieddri
i facigli su lampi i lampi sunnu acieddri
u lignu ca si stuta diventa nu tizzuni
nivuru cchiù du scuru ccù l'uocchi di cursuni
Quannu a notti si rapa u cori va girannu
zumpa i cancieddri risbiglia i cavaddri
u granu dintra a terra cuva ppi novi misi
pu l'uva 'ntra vigna appara tutti i spisi
Suttu 'u suli ca sbamba si scialano i cicali
Tiegnu na raggia tosta fatta di petri 'i sali
na raggia c'un si sparta, scunchiusa, storta, amara
tiegnu na voglia granni vacanti china i fami
spinusa pungia sempi, na pala i ficunniani
na voglia c'un si stringia, ca tena sempi jatu
c'un cangia mai culuri, ch'è sempi arribbeddrata
Tiegnu na raggia fatta tutta quanta ppi ttia
ca n'un s'arrenna mai ca trona e ca lampia.

U vinu dintra a vutta aspetta ra vernata
s'ha di spugliari tuttu ppi diventà cannata
A porta è sempri aperta vieni quannu ti para
si mi truovi durmiennu curcati un mi svigliari
Su' vinuti i matina cumu lupi affamati
si su' pigliati tuttu nenti hannu lassatu
haju gridatu forti cchjù forti ca putia
unn'è sirvutu a nenti, iu parru sulu a tia
Quannu u cielu si scura vaiu vicinu u mari
guardu luntanu e piensu 'cu vientu ha di cangiari
movati vieni priestu, vieni cumu nu lampu
dunami nu riciettu