Compagnia Teatrale Lalineasottile
Attivita' di produzione

IL VELO SQUARCIATO
Storia di un'Antigone Calabrese

di Franco Dionesalvi

traduzione in lingua calabrese di Mario Artese

“Antigone, una donna del popolo, nella nostra Calabria si ribella a Creonte, un arrogante politico locale, che ha ordinato, dopo l’ennesimo naufragio di una chiatta nel mare proveniente dall’Africa, che i corpi non dovranno essere recuperati, non dovranno toccare il territorio calabrese, ma dovranno restare in mare, cibo per i pesci, a dissuadere i migranti da altri tentativi di sbarco. Antigone ha visto un corpo vicino alla riva, lo raccoglie e, nel rispetto della pietas umana vi dà sepoltura e senza paura affronta il castigo per non tradire la pietà verso i defunti.”
Se si vuole riflettere sul presente a partire dalla poetica e drammatica percezione del reale che proviene dalla meditazione su “Antigone”, non è consentito foderarsi gli occhi e bluffare. C’è una tragedia, che è la più aspra e inquietante del nostro tempo, che tuttavia, per una serie di convenienze, di calcoli sondaggistici, di “se” e di “ma”, viene sostanzialmente taciuta. Eppure è da lì che dobbiamo partire. Da quelle centinaia di cadaveri dispersi e galleggianti sul mare Mediterraneo, che di quel mare culla antichissima della civiltà ne hanno fatto un penoso cimitero a cielo aperto. Da quell’operazione di rimozione collettiva per cui noi, emigranti di ieri, appena aggregati al club dei potenti ci trasformiamo repentinamente in carnefici, in cinici e spietati controllori dei nostri sacri confini.
In quella penosa contraddizione, in quella tragedia del mare e della terra su cui lo sguardo fatica a soffermarsi, in quella fucina di retorica a buon mercato che produce ronde pittoresche e rinascente razzismo: è lì che oggi vive Antigone e si misura con Creonte, è lì che si consuma il dilemma antico e veemente fra la forza e la ragione, fra la legge e l’amore, fra il diritto positivo e il diritto naturale.E per l’Antigone che si ribella alle tirannie ottuse e ciniche, oggi maggioritarie, in nome del buonsenso, della carità e dello spirito cristiano, la condanna non è la morte, ma l’irrisione e la ghettizzazione. La morte è per gli altri, per questa moltitudine di paria senza nome e senza volto che accorrono richiamati dall’inganno delle mille luci dei nostri canali televisivi, e qui si ritrovano bersagli inerti delle nostre meravigliose tecnologie di annientamento e di emarginazione. Il lavoro (in parte in lingua italiana e in parte in lingua calabrese), scritto da Franco Dionesalvi, con traduzioni in lingua calabrese di Mario Artese, non è una riscrittura della tragedia di Sofocle, ma possiamo definirla una rivisitazione e un pretesto per parlare della storia dei nuovi migranti, storia tragica ed epica nello stesso tempo: tragica per quello che succede quotidianamente (naufragi, respingimenti, ecc…), epica per la forza di questi uomini che per cambiare il loro stato di ultimi del mondo, non hanno paura di affrontare anche la morte. Lavorare sul dialetto, senza ricorrere alle facili mercificazioni, agli imbarbarimenti, alle volgarità grasse e gratuite che spesso ci vengono propinate, è un compito abbastanza arduo, ma certo vale la pena operare un tentativo non effimero, per conservare quel che resta e recuperare quello che è possibile della nostra “lingua madre”
Regia Massimo Costabile
Interpreti

Antonella Carbone, Luigi Iacuzio, Mario Artese
e la partecipazione di Paola Dattis e Charles Pigas

Fonico Matteo Costabile
Disegno Luci Mario Giordano
Produzione Compagnia Teatrale Lalineasottile - 2013