"LIBERO E OBLIGUO" a cura di Paolo Aita

 

Il progetto della mostra Libero e Obliquo già dal titolo pone l'accento su due categorie che, esemplate magnificamente da Tommaso Campanella, contraddistinguono tutta la modernità. Il rifiuto di ogni compromesso a favore della ricerca e la trasversalità di un sapere che abbracciava discipline eterogenee, sono caratteristiche comuni anche  all'arte contemporanea. A rendere ancora più attuale la figura del grande calabrese contribuiscono una curiosità intellettuale mai doma e un rapporto fortemente critico col sapere costituito. Questa mostra porta un  contributo notevole ai grandi temi dell'instabilità e dell'atteggiamento malinconico tipico di tutte le figure di confine.

A proposito di distribuzione del sapere e dei ritardi accusati dal pubblico dell'arte, bisogna ammettere che, nel caso del nostro meridione, i mass-media hanno assolto il loro ruolo in modo egregio. I pittori entrati in questa esposizione vantano formidabili aggiornamenti e scoccano frecce puntuali ed efficaci. Il tono della minorità, nel modo in cui è stato codificato da Deleuze e Guattari, sembra un'egida ineliminabile dalle produzioni contemporanee più motivate. Questo tono, col suo faticoso interagire con le strutture di potere, è splendidamente rappresentato dagli artisti del Sud.

Se dunque appariva un'aura di dilettantistica estraneità nelle produzioni culturali del meridione, bisogna ammettere che le opere qui presentate, nella tradizione iniziata da Tommaso Campanella, danno invece una versione della contemporaneità alternativa a certe superficiali produzioni provenienti da aree più fortunate.

Salvatore Anelli continua un'erta ricerca di scomode memorie, filtrate con sensibilità e una pratica artistica rischiosa anche per lo stesso autore.
Vincenzo Trapasso vince la scommessa di inserire il più alto numero di materiali e riferimenti nelle sue composizioni, che risultano però straordinariamente armoniche.
I colori squillanti di Berlingeri non traggano in inganno sollecitando piaceri dell'occhio apparentemente fuori moda: la ricerca dei suoi segni è sofisticata e profonda.
Antonio Pujia Veneziano potenzia l'allusività di immagini basiche ponendole in un contesto gremito di sorvegliatissimi segni.
Dario Carmentano sfida la gravità con memorie etniche calorose, cucite con fermo gusto della composizione.
Giulio Telarico indaga le ripetizioni dei segni ortografici e ricava textures allusive a mondi culturali tra loro infinitamente distanti.
FrancoFlaccavento ricostruisce la fucina immaginifica del pensatore con frammenti materici e organici legati da un coltissimo colore.